UNO slow reportage. Per rientrare nei fatti quando non sono più notizie e il clamore si è spento: quando c’ è bisogno ancora di capire, attrezzati di pazienza e della dovuta lentezza per studiare la ramificazione di cause ed effetti che racchiudono storie complesse di uomini e di un territorio mutato con loro. Con “Castel Volturno. Reportage sulla mafia africana”, Sergio Nazzaro ha risalito la foce del delta del Volturno, la folta mappa di province a sud del Garigliano dove pulsa un cuore africano che negli anni si è insediato tra Baia Domizia e Baia Verde, negli scempi edilizi di Baia Felice e Villaggio Coppola. Luoghi che hanno accolto la disperazione di migliaia di migranti provenienti dalla Nigeria, dal Ghana, dal Senegal in cerca di speranza, una vita nuova e diversa che in molti casi è divenuta criminalità. Nazzaro scompone il fenomeno di una mafia nera bene organizzata, con dinamiche che affondano radici in riti millenari come il voodoo o i sacrifici umani mentre gestisce prostituzione e il mercato della droga. Un ponte che va verso il Sudamerica e l’ est europeo, una matassa intricata che passa per il litorale domizio-flegreo, fino a Castel Volturno, a ridosso dei tanti chilometri di macchia mediterranea e di spiagge depredate, rivoltate in cemento dagli anni ‘ 60 quando l’ uomo bianco fu colto dal miraggio di costruire villette destinate alle vacanze. Ed è tra i resti della speculazione che riescono ad occultarsi i migranti, si confondono tra quelli con i permessi e sfuggono ai censimenti. A Castel Volturno ci sono «diecimila africani, regolari e non, quasi il 50% della popolazione locale: un soffio dall’ essere la prima cittadina italiana a maggioranza nera»