La Stampa

 

Blitz della polizia in via Massari, denunciato il capo

LETIZIA TORTELLO
TORINO

Capannoni pericolanti e garage fatiscenti, riadattati a fabbrica di vestiti. La Prato di casa nostra esiste. Sta nei quartieri Madonna di Campagna e Aurora, ma anche a Moncalieri, a Borgaro, a Settimo Torinese. E’ un sottobosco di laboratori cinesi che lavorano nell’ombra, dietro cancelli senza citofono, ma controllati da telecamere a circuito chiuso. Tagliano, cuciono, producono per il mercato all’ingrosso, a prezzi da fame.

 

Blitz in via Massari

L’ultimo controllo effettuato dalla polizia è di ieri, in uno stabile di via Massari. Gli agenti del commissariato Madonna di Campagna hanno scoperto un laboratorio tessile abusivo gestito da un cittadino cinese di 54 anni, denunciato per sfruttamento del lavoro nero nei confronti dei connazionali. I dipendenti erano 7, due donne e cinque uomini, una di loro irregolare.

Gli scenari si somigliano, di città in città: grandi stanzoni con macchine da cucire ovunque, 36 nel laboratorio identificato ieri, più cinque macchinari per attaccare bottoni, ora tutti sotto sequestro.

 

«Condizioni indescrivibili»

I controlli dell’Asl hanno dichiarato i locali non a norma. In «uno stato di grande disordine e sporcizia e grave pericolo per l’incolumità dei lavoratori, a causa degli innumerevoli cavi elettrici volanti e dei mucchi di tessuti e materiali infiammabili», dice la polizia. Ma questo è solo uno dei casi di garage-fabbrica nascosti nella nostra città. Perché girando per i quartieri limitrofi non è difficile imboccare il cortile giusto, aprire qualche portone e trovarsi di fronte a giganteschi open space, dove si lavora alacremente. Alcune di loro sono ditte iscritte alla Camera di Commercio, come la Q. Confezioni. Un immenso stanzone con il pavimento tappezzato di ritagli di stoffa neri, rimasuglio di qualche partita da centinaia di pezzi. Le pareti sono rivestite di rotoli di tessuto, anche pregiati. Ai manichini abiti di ogni foggia e tipo, maglieria con tanto di cartellino italianissimo. Sembrano tutto meno che capi a basso costo.

 

Costi irrisori

Eppure, ai grossisti sono venduti per un pugno di riso. Entrando, ti accoglie un ragazzo giovane, gentile (le tante macchine da cucire, ieri, erano ferme). Per 50 cappotti, pronti in un giorno, massimo due, si paga 15 euro al pezzo. Ma si può trattare. La lana la mette chi commissiona. Un paio di pantaloni da uomo eleganti: 4 euro. Le lane sul bancone sono finissime. Per capi da boutique. Chissà quale sarà il prezzo al cliente. Dagli abusi edilizi (non si può certo dormire, dove si lavora), alla violazione delle norme di sicurezza che hanno portato alla tragedia dei morti di Prato, e ancora sfruttamento della manodopera, concorrenza sleale: i reati penali e amministrativi riscontrati dalle forze dell’ordine sono sempre gli stessi. C’è chi viola le norme e chi no. Di certo, anche nell’area nei dintorni di via Stradella, c’è un laboratorio cinese. L’ennesimo, uno dei tanti ora sotto controllo.

 

Ditte misteriose

Lì si entra a fatica, solo per pochi minuti e se si è amici di «Lu». Chi sia, non è dato saperlo. Il solito affollamento di stoffe e macchine, in un garage sorvegliato da una serie telecamere a raggi infrarossi. Sul campanello: Ditta H. Mentre a poche centinaia di metri, in via Dogliani si vendono borse in stock. Gli stessi prodotti che ritroviamo sui nostri mercati, in ogni quartiere della città.

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