La Repubblica

di GIUSEPPE SCARPA

La coppia di aguzzini costringeva madre e figlio con problemi psichiatrici a chiedere soldi per strada basandosi sulla “Zedaqah”, forma di sostegno ai bisognosi prevista nella Torah

 

Dovevano elemosinare tra le sinagoghe e i commercianti di origine ebraica della capitale. A costringere madre e figlio, entrambi con problemi psichiatrici, i loro vicini di casa. Gli inquilini della porta accanto li controllavano in ogni spostamento. Nella casa delle due vittime non c’erano le serrature così i loro aguzzini potevano entrare quando volevano. In giro per Roma ad accattonare  dovevano poi chiedere in prestito i telefonini per comunicare ai carnefici ogni singolo spostamento. Una triste vicenda che si è verificata nel 2011 e che ieri ha portato alla condanna dei due responsabili L. M. e M. L. a 10 anni di reclusione. Entrambi colpevoli, secondo la corte d’Assise, del reato di riduzione in schiavitù.

Erano a conoscenza della “Zedaqah” e ne avrebbero abusato. Una forma di carità, ha spiegato nella sua arringa l’avvocato di parte civile della Deputazione ebraica Cesare Gai. I due responsabili dello sfruttamento sapevano bene che nella cultura ebraica era presente una sorta di sostegno ai bisognosi previsto nella Torah. Ed è per questo, ha spiegato Gai, che gli aguzzini avrebbero indirizzato i due a chiedere spiccioli in quattro sinagoghe di Roma e nei negozi nel cuore della capitale gestiti da ebrei. Proprio un commerciante che aveva ceduto alle elemosine si era domandato come mai madre e figlio vivessero in quella condizione. Sapeva che i due erano aiutati dalla Deputazione ebraica di assistenza e servizio sociale. Ma da tempo non era più così. La coppia di aguzzini aveva convinto madre e figlio ad abbandonare la Deputazione. Sarebbero stati loro a prendersene cura. Una trappola. In poco tempo li soggiogarono. La casa delle vittime divenne la casa degli aguzzini, così come i loro conti correnti, pensioni e le loro stesse vite. Entrambi costretti vestiti di stracci ad elemosinare spiccioli tra i fratelli della comunità ebraica. I due pescecani, invece, si godevano il frutto dell’accattonaggio. Anzi se lo giocavano al Bingo.

“E’ la prima volta  –  ha spiegato l’avvocato delle due vittime Valentina Scuderoni  –  che questo reato viene applicato nei confronti di coloro che sfruttano persone per l’accattonaggio”.

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