Così si combatte il caporalato: storie di chi nei campi coltiva la speranza

La Repubblica

Dalla Calabria alla Puglia passando per la Lucania. Ecco tre progetti sostenuti da Banca Etica che da anni non cedono al ricatto della grande distribuzione favorendo una catena etica che prevede contratti per i lavoratori, garanzie per i consumatori e la sostenibilità delle piccole e medie imprese

ROMA – Sconfiggere il caporalato è possibile. Oltre all’imprescindibile impegno dello stato nel colpire e punire chi sfrutta persone in difficoltà per fare affari riducendole in stato di schiavitù, è possibile ‘costruire’ una filiera positiva anche grazie all’impegno dei singoli, del privato: un segno tangibile della volontà del territorio di ribellarsi.

In questo senso vanno alcuni dei progetti nati anche grazie al sostegno di Banca Etica che ad oggi sono tra i più riusciti nella lotta al caporalato, esempi di come creare un sistema equo solidale senza cedere al ricatto della grande distribuzione, causa principale dello sfruttamento nei campi italiani.

Le arance di Rosarno. È questo il caso di Sos Rosarno, un’associazione nata in seguito ai ‘fatti di Rosarno’ del 2010 nata per regolarizzare i lavoratori stagionali e valorizzare il prodotto del territorio. Sos Rosarno ha messo in contatto i raccoglitori di arance sfruttati nei campi calabresi con i piccoli produttori in difficoltà che non riescono a sottostare alle leggi di mercato imposte dalla grande distribuzione. Attraverso l’associazione che oggi ha anche una cooperativa ‘Mani e Terra’ con membri sia italiani sia del continente africano, si è creata una rete che unisce i piccoli produttori biologici con le botteghe di commercio equo solidale, associazioni e gruppi d’acquisto.

Il pomodoro pugliese. Puntare ad un mercato ‘alternativo’ che oltre al prezzo valorizzi anche la dignità umana e il rispetto dei diritti è la scelta fatta anche da Diritti a Sud, un’associazione pugliese nata nel 2014 a Nardò, altro epicentro del caporalato italiano. Il progetto Sfruttazero assieme all’associazione Solidaria di Bari, si incentra sulla produzione di salsa di pomodoro e vuole creare un canale alternativo alla Gdo per svincolarsi dalle dinamiche che portano inesorabilmente allo sfruttamento dei lavoratori. Al suo interno sono impiegati sia migranti che italiani in difficoltà.

“Diritti a Sud nasce dal basso come reazione comune di chi vive una condizione di difficoltà sociale o precarietà lavorativa – afferma la presidente Rosa Vaglio – Non vogliamo che si parli di integrazione, ma di convivenza di più persone- migranti, richiedenti asilo ma anche residenti del posto- che collaborano insieme in un progetto unico per il territorio in cui ci troviamo”.

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