G.U.P. Bari
Sentenza 22 febbraio – 22 maggio 2008 n. 198
(Giudice Dr. Antonio Lovecchio)
Nota di Claudia di Bitetto
La sentenza in commento ben motivata con puntuali e chiare argomentazioni giuridiche-sociali, offre interessanti spunti di riflessione. Iniziando con il dato fattuale è importante sottolineare che gli imputati si associavano tra loro, dando vita ad una organizzazione criminale transnazionale, operante in Polonia ed in Italia, prevalentemente nella provincia di Foggia, strutturata per “cellule” che, pur avendo margini di autonomia, erano strettamente collegate tra di loro in un costante rapporto di mutualità, supporto e collaborazione reciproca.
Tale organizzazione aveva lo scopo di realizzare più delitti, tra i quali, quelli di tratta di persone ex art 601 c.p. e riduzione e mantenimento in schiavitù e/o servitù) ex art. 600 c.p, attuati con le modalità descritte di seguito:
– pubblicazione, su giornali e siti internet, di annunci ingannevoli per lavori in agricoltura da effettuarsi in Italia;
– reclutamento in Polonia, attraverso i predetti annunci, di persone indigenti, sovente di un sufficiente livello culturale, quindi, in “stato di necessità” o di inferiorità;
– trasferimento in Italia delle inconsapevoli vittime, effettuato a mezzo di furgoni e pullman nella disponibilità dell’organizzazione;
– riduzione e mantenimento delle vittime, mediante inganno, violenza e minacce, approfittando di situazioni di inferiorità fisica e psichiche e di situazioni di necessità, in uno stato di soggezione continuativa, comportante lo sfruttamento delle stesse e delle loro prestazioni lavorative.
Nel mondo romano classico lo schiavo addetto ai lavori agricoli godeva di minori privilegi rispetto al servus urbano nelle prospettive di profitto che animavano il dominus in vista di una successiva vendita di quest’ultimo come “res” che poteva conservare un valore solo se ben conservata.
Tale prospettiva era, invece, inconcepibile per un componente della famiglia rustica in quanto la ricchezza derivava dal loro completo sfruttamento, circostanza che comportava la sottoposizione dello schiavo a prestazioni lavorative che lo esaurivano, determinandone, come le macchine, una obsolescenza. Gli schiavi, quindi, erano res equiparate agli animali definiti in strumenta semivocalis, così distinti dalle persone che subivano la condizioni servili chiamati in strumenta vocalis. Per ovvie ragioni le fughe degli schiavi erano precluse con ogni mezzo.
La descrizione storica, purtroppo, non si discosta da ciò che si evince dalla risultanza delle indagini del caso de quo come ad esempio alloggi fatiscenti, prestazioni lavorative senza determinazioni di tempo, mancato pagamento della retribuzione o corresponsione di un salario irrisorio, violenze fisiche e mentali, minacce talvolta gratuite, altre volte finalizzate ad interdire vie di fuga.
E’ insostenibile la tesi che sostiene che si sia costituito un rapporto di lavoro a condizioni diverse da quelle promesse poiché per essere costituito un rapporto di lavoro vi deve essere un incontro di volontà, anche se tacito. L’uso della violenza o della minaccia nel momento genetico del sorgere del rapporto di lavoro rende radicalmente nullo il consenso del prestatore perché l’inganno si trasforma in violenza fisica.
L’incontro della volontà finalizzato alla costituzione di un valido rapporto di lavoro, deve ritenersi inesistente perché l’iniziale consenso è stato travolto dalla nuova proposta di una diversa retribuzione, di un alloggio fatiscente e dell’obbligo a prestare attività lavorativa con metodi violenti. E la nuova proposta non è stata mai volutamente accettata.
Vanno richiamati anche gli elementi di prova che attestano la conoscenza, risalente ad almeno due anni prima l’accertamento dei fatti, la frequentazione, lo sfruttamento della manodopera da parte di tutti i capi-cellula, l’adozione dei metodi identici per il reclutamento, per garantirsi la permanenza delle vittime nei loro campi e lo sfruttamento del loro lavoro, per evitare le fughe, la standardizzazione delle pessime condizioni abitative, il sistema di spogliare ogni operario del denaro con l’imposizione di spese anch’esse analoghe nella natura per concludere che tali scelte non erano conseguenza di occasionali, temporanei o estemporanei accordi dell’uno o dell’altro dei capi cellula, ma frutto di una pianificazione tesa al conseguimento di un illecito profitto a mezzo dell’altrui attività lavorativa.
E’ anche significativo evidenziare che tutte le cellule al loro interno si presentavano con una struttura che prevedeva il coordinamento di un capo affiancato da un “caporale” o da altri sottoposti, come pure va rappresentato lo scambio continuo di mezzi che non possono, quindi, ritenersi nella esclusiva disponibilità di un capo cellula, ma che venivano posti a disposizione dell’intero sodalizio per la sua efficienza e per il raggiungimento di fini condivisi da tutti gli associati per delinquere.
Altro elemento che merita rilevanza è la transnazionalità del reato.
L’art. 3 della legge 146/2006 definisce qualifica e definisce “reato transazionale” il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché:
– sia commesso in più di uno Stato;
– sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione e controllo avvenga in un altro Stato;
– sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicito in un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminale in più di uno Stato;
– ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
La gravità dei reati è nella coscienza sociale dell’intera collettività umana, come si evince dall’adesione di un numero considerevole di Stati alle varie risoluzioni delle Nazioni Unite sull’argomento, che ripudiano forme di sfruttamento dell’uomo sull’uomo peraltro dettati da fini meramente economici.
Sul piano soggettivo è indiscutibile la mancanza di ogni forma di ravvedimento avendo fino all’ultimo atto processuale i predetti imputati mostrato la mancanza di una sia pure tardiva pietasnei confronti delle numerose vittime sottoposte al loro potere, attestandosi su difese che ulteriormente umiliavano le vittime.