di VALERIA TEODONIO

La Repubblica

ROMA – “Mamma e papà erano tossicodipendenti. Lo sono sempre stati. Quando ero molto piccola, loro si chiudevano in bagno e quando uscivano stavano sempre male”. Francesca (il nome è di fantasia) inizia a lavorare a 13 anni. Lava le scale nei condomini, fa le pulizie nelle case. E non va a scuola. Deve guadagnare, non vuole pesare sui suoi. Poi la portano in una casa famiglia e iniziano i guai con la giustizia. Francesca è una delle centinaia di ragazzi rinchiusi nelle carceri minorili italiane. E come la maggioranza degli adolescenti finiti poi nel giro della piccola criminalità, ha lasciato la scuola troppo presto ed ha iniziato a lavorare. I minori come lei finiscono così nel giro dello sfruttamento, spesso per aiutare la famiglia in difficoltà. Ma sei su dieci lo fanno per avere qualche soldo in tasca in più. Non sempre, dunque, provengono da famiglie poverissime.

 

Non solo disagi o povertà. Molti ragazzini appartengono anche a fasce sociali meno disagiate. La provenienza geografica è varia: molte regioni italiane, da Nord a Sud. Sono impegnati come manovali, meccanici, braccianti agricoli, camerieri. E molti sono giovanissimi: 11-12 anni. Lo dice il rapporto di Save the Children, “Lavori Ingiusti”, indagine sul lavoro minorile e il circuito della giustizia penale, che viene presentato oggi in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile. Sono stati intervistati 439 ragazzi: il 66 per cento racconta di aver lavorato prima dei 16 anni. Oltre il 40 per cento ha avuto esperienze lavorative al di sotto dei 13 anni e l’11 per cento ha svolto delle attività persino prima degli 11 anni. In oltre 7 casi su 10 casi si tratta di giovani italiani, gli altri in genere arrivano da Romania, Albania e Africa del nord. Più di 7 adolescenti su 10 dichiarano di aver lavorato quasi tutti i giorni, oltre 4 su 10 per più di 7 ore di seguito al giorno; e oltre la metà di sera o di notte. …leggi