Caporalato, legge Martina e sistema agricolo italiano: è cambiato qualcosa o serve altro?

Attualità

Melting Pot

Jean Pierre Yvan Sagnet non ha bisogno di molte presentazioni. Protagonista di importanti lotte
contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro bracciantile, ha iniziato il suo impegno sindacale
dal basso nel 2011 organizzando lo sciopero dei braccianti di Nardò. La storia di quella rivolta per i
propri diritti, la coraggiosa sete di verità, la coscienza e il valore della parola dignità sono stati
raccontati in “Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra dell’oro rosso”, il primo libro biografico
di Sagnet al quale ha fatto seguito, nel 2015, il reportage “Ghetto Italia”.
Il secondo libro, scritto assieme a Leonardo Palmisano, è una cartografia da nord a sud dello
sfruttamento feroce che i braccianti subiscono, vittime dei caporali e lasciati soli dalle istituzioni
senza alcun tipo di servizio in ghetti insalubri e nei quali i piccoli potentati criminali dettano le
regole. Una realtà che solo grazie alle rivolte dei braccianti e al lavoro di testimonianza e narrazione
di Sagnet e di molti altri autori, è finalmente emerso come un problema strutturale che non riguarda
solo i troppi lavoratori sfruttati e confinati nei ghetti, ma l’intera società che accetta un sistema
agricolo italiano in mano a multinazionali dell’industria agroalimentare e della Grande
Distribuzione Organizzata (GDO) che impoverisce i territori, imponendo un ribasso eccessivo dei
prezzi dei prodotti e avallando forme coatte di sfruttamento.
Abbiamo posto alcune domande a Sagnet per capire se la legge sul caporalato, approvata un anno
fa, ha portato dei miglioramenti o se la strada, considerati anche gli ultimi episodi di caporalato che
non risparmiano nessuna regione italiana, appunto dal nord al sud del paese [1], è ancora lunga.
Quale connessione esiste tra caporalato e globalizzazione e come questa si è modificata in questi ultimi
anni in Italia nel settore agricolo?
Il caporalato fa parte di un sistema globalizzato che si nutre di tutta una serie di mancanze per trarne
vantaggi economici. In questi anni mi sono reso conto che colpire i caporali e le imprese che se ne
servono benché necessario significa soltanto colpire gli effetti ma non le cause reali del caporalato.
Le cause reali risiedono in un modello di sviluppo economico che ha completamente trasformato i
rapporti di forza tra le multinazionali, la grande impresa, da una parte, e dall’altra parte la piccola
impresa, i lavoratori ed i consumatori. Il caporalato è figlio di un sistema che vede al centro la
GDO, la quale – con il meccanismo dei prezzi dei prodotti sempre più bassi che viene imposto a
tutti gli attori della filiera – fa sì che tutto il sistema sia insostenibile creando condizioni di mercato
inaccettabili. E a pagare il prezzo di tutto ciò è l’anello più debole della filiera, ovvero i braccianti
agricoli. Leggi…

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