CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 1 ottobre 2015, n.39797

 

MASSIMA

Il reato  tratta di persone e quello di riduzione in schiavitù sono fattispecie autonome, in quanto il primo, anche dopo la novella del 2014, non presuppone che sia integrato il secondo, avendo il legislatore solo specificato talune modalità di integrazione della condotta e chiarito il dolo specifico che deve animare l’agente.

 

CASUS DECISUS

La Corte di Assise di Appello di Genova, con sentenza del 19 maggio 2014 confermava la condanna di due imputati per i reati di cui agli articoli 81, 110, 601, 602 ter cod.pen. e cioè della tratta di persone aggravata dalla minore età, dall’esposizione al pericolo di vita e dallo sfruttamento alla prostituzione delle persone offese con l’ulteriore aggravante della transnazionalità di cui all’articolo 4 della legge 146/2006. Avverso tale sentenza gli imputati proponevano ricorso per cassazione lamentando, una motivazione illogica, incompleta e insufficiente nonché una violazione di legge quanto alla sussistenza dei reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone.

 

ANNOTAZIONE

Nella sentenza in epigrafe la Suprema Corte chiarisce i rapporti tra il tra reato di tratta di persone e quello di riduzione in schiavitù a seguito della novella del 2014. Nell’occasione si evidenzia che ai fini della configurabilità del delitto di tratta di persone vigente all’epoca dei fatti (articolo 601 cod. pen.), non è richiesto che il soggetto passivo si trovi già in schiavitù o condizione analoga, con la conseguenza che il delitto in questione si ravvisa anche se una persona libera sia condotta con inganno in Italia, al fine di porla nel nostro territorio in condizione analoga alla schiavitù; il reato di tratta può essere, infatti, commesso anche con induzione mediante inganno in alternativa alla costrizione con violenza o minaccia. A tal proposito la novella di cui al D.Lgs 4 marzo 2014 n. 24 lungi dal modificare sostanzialmente la disciplina della fattispecie delittuosa di cui all’articolo 601 cod.pen. ha semplicemente precisato in dettaglio le modalità attraverso le quali si realizza la tratta di esseri umani. Inoltre, ai fini della consumazione del reato di tratta di persone, con riguardo alla seconda delle ipotesi previste dall’art. 601, comma primo, cod. pen., non è neppure necessario che venga consumato anche il reato di riduzione in schiavitù, quale previsto dalla richiamata norma, atteso che con tale richiamo si è inteso soltanto, da parte del legislatore, stabilire la necessità del dolo specifico da cui la condotta dell’agente dev’essere accompagnata, nulla rilevando, quindi, che la finalità da lui perseguita non si realizzi, ovvero si realizzi ad opera di soggetto diverso, non necessariamente concorrente con il primo.

Testo Sentenza Cassazione n° n° 39797; 1 ottobre 2015

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