La Repubblica

 

di GLORIA BAGNARIOL

Nella città dell’agro pontino c’è la seconda comunità Sikh d’Italia per numero di immigrati. Pagano 13 mila euro per arrivare qui. E poi pagano pure i “caporali” che trovano loro lavoro. Dal 2006, 40 mila persone hanno lasciato il loro paese per fare qui gli agricoltori e gli allevatori. L’Associazione In Migrazionetratteggia una situazione di sfruttamento non molto diversa dall’inferno di Rosarno

 

SABAUDIA – L’India è vicina: basta percorrere 100 km a sud di Roma per arrivarci. Sulla strada, i cartelli portano le indicazioni per Sabaudia, ma se si guarda alle biciclette che corrono sul ciglio, ai colori dei vestiti e dei turbanti, ci si potrebbe confondere. La città dell’agro pontino si è trasformata negli ultimi anni in una piccola  –  piccolissima – Chandigarh, la capitale del Punjab, ed è arrivata a ospitare la seconda comunità sikh più grande d’Italia.

Tredicimila euro solo per arrivare qui. Dal 2006 quasi 40 mila persone hanno lasciato il Punjab e hanno scelto la provincia di Latina dove lavorano essenzialmente come agricoltori e allevatori, nella speranza di trovare un futuro migliore. “Un viaggio faticoso e rischioso” come racconta Nanda, qui dal 1988, oggi delegato della Cgil: “Ho calcolato che partire ora costa a un indiano 12/13 mila euro, ci sono i trasporti da pagare, certo, ma servono soprattutto i soldi da dare a chi ti ha chiamato, a chi riesce a farti lavorare. Sono molti i sikh che si comprano un contratto di lavoro per poter rimanere in Italia”. Alle parole di Nanda si aggiunge la denuncia di Marco Omizzolo, sociologo e membro dell’associazione “In Migrazione“, che tratteggia una situazione di sfruttamento non molto diversa dall’inferno di Rosarno: “I braccianti lavorano per 10, 12 ore al giorno e non guadagnano più di 4 euro all’ora, anche chi ha un contratto regolare viene preso in giro e i soldi in busta paga sono meno della metà”.

Le testimonianze dell'”infiltrato”. Omizzollo studia la comunità sikh e durante la scorsa estate si è “infiltrato” tra loro per condividerne il lavoro nei campi. Le testimonianze che ha raccolto raccontano abusi quotidiani, difficoltà che però non riescono a tramutarsi in voglia di riscatto. “Per i sikh il lavoro è la via attraverso la quale ci si conquista il paradiso – spiega Omizzollo – e poi con la crisi che c’è temono di perdere il posto. Così accettano qualsiasi tipo di condizione”. I braccianti del Punjab hanno paura a denunciare la situazione di abuso nella quale vivono, per loro l’Italia è una “splendida occasione”, “un posto meraviglioso” e gli italiani sono “persone bellissime”. Se raccontano episodi di razzismo ne parlano sempre al passato, frettolosi poi di precisare che “ora, tutto va bene”.

Avvolti dal silenzio, quasi invisibili. Secondo le stime della Cgil, la comunità che si è stabilizzata nella provincia di Latina arriverebbe a quota 12.000 persone, il 2% dell’intera popolazione. Eppure sembrano non esistere. Il silenzio che copre il racconto delle loro vite è forse il simbolo più forte dello sfruttamento che subiscono. L’associazione “In Migrazione” è riuscita ha raccogliere le loro vicende in un dossier e ha potuto raccontare le loro storie. Tra di loro c’è Madanjeet, da due anni in Italia, che lavora per soli due euro all’ora; Sukirat costretto a comprare la carta d’identità, mai arrivata, per 600 euro; Ravi, 31 anni, deve tagliarsi la barba e a togliere il turbante perché “il mio padrone non vuole. Io non mi sento bene così, ho pianto tanto. Ma devo lavorare”. Ravi aspetta ancora 4.000 euro dal suo datore di lavoro: “Credo che non li prenderò più, ma ho bisogno di soldi, e non so come fare”.

L’assenza dei pubblici poteri. Sabaudia sembra non vedere cosa succede nei propri campi, secondo Franco Brugnola, consigliere uscente del PD al Comune: “la città non sta facendo assolutamente nulla per favorire l’inserimento. I sikh vivono qui da molti anni, ma si può parlare di integrazione solo nelle scuole, per il resto la comunità viene ignorata. Avevamo proposto di istituire una consulta degli immigrati, ma la nostra idea è stata sonoramente bocciata dalla maggioranza”.

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