Lecce, in tribunale il coraggio degli “schiavi” “Abbiamo paura, ma non ci fermeremo”

La Repubblica

 

di CHIARA SPAGNOLO

Si è aperto il dibattimento contro i sette imprenditori e i nove complici accusati del reato di riduzione in schiavitù e sfruttamento dei lavoratori. In aula Yvan Segnet, studente universitario che guidò la rivolta dell’estate del 2011. Ed è ancora polemica sulle parti civili

 

Faccia a faccia nell’aula della Corte d’assise di Lecce. Occhi negli occhi, i braccianti e i caporali. A pochi centimetri gli uni dagli altri, i lavoratori e gli imprenditori. Denuncianti e denunciati, parti civili e imputati, in un clima di tensione palpabile, che preannuncia un processo difficile. La prima udienza del procedimento conosciuto come “Sabr” si è aperta così, all’insegna delle emozioni forti. Paura ma anche orgoglio per i lavoratori che hanno scelto di denunciare i loro aguzzini. Speranza e determinazione per gli imputati, che puntano a tirarsi fuori da una vicenda bruttissima.

Le accuse a carico delle 16 persone portate alla sbarra dalla Dda sono pesanti: c’è l’associazione a delinquere e la riduzione in schiavitù, l’estorsione, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della permanenza in stato di irregolarità sul territorio nazionale, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. E poi il nuovo reato di caporalato, che rende ancora più importante il processo di Lecce, perché porta quel 603 bis scritto tra i capi d’imputazione alla sua prima prova dibattimentale, essendo stato introdotto nel Codice penale nell’estate 2011. Proprio nei mesi roventi in cui, secondo il pm Elsa Valeria Mignone, a Nardò si sarebbero consumati reati terribili, documentati dai carabinieri e denunciati dai braccianti stranieri. Sono loro la vera anima del procedimento.

Giunti a Lecce da diverse città d’Italia in cui vivono, quattro già costituiti parte civile nell’udienza preliminare, altri quattro pronti a farlo prima del dibattimento. Per gli avvocati difensori “i presunti lavoratori non hanno titolo a stare in udienza” ma loro vogliono esserci “perché abbiamo lavorato tanto e non siamo stati pagati, anzi siamo stati minacciati e trattati come nessun essere umano meriterebbe”. Le minacce sono avvenute tra i filari di angurie ma anche dopo, quando imprenditori e caporali hanno capito che non tutti avrebbero scelto il silenzio. “E continuano a minacciarci ancora adesso” dice Yvan Sagnet, lo studente camerunense del Politecnico di Torino che nell’estate 2011 fu leader della rivolta dei braccianti(VIDEO).

Di fronte, dietro le sbarre, ci sono due caporali, accanto a pochi centimetri Sabr (l’africano da cui l’inchiesta ha preso il nome), dall’altro lato i fratelli Latino, i più grossi imprenditori del settore. Pantaleo Latino è considerato dalla pubblica accusa “il capo promotore e organizzatore” del sodalizio che sfruttava gli immigrati, è detenuto agli arresti domiciliari e partecipa al processo con nonchalance.

I giovani che lo hanno denunciato spostano lo sguardo da lui ai caporali. “Ci guardano in modo strano  –  dice un sudanese individuato come parte offesa  –  sembra che vogliano intimidirci ma noi restiamo qui”. “Abbiamo paura certo  –  aggiunge il tunisino che solo oggi ha scelto di costituirsi  –  venire qui è stata una scelta difficile ma non ci fermeremo”. Contro la loro partecipazione attiva al processo si sono scagliati gli avvocati difensori, che hanno contestato anche la costituzione dell’associazione Finis Terrae e della Cgil (già avvenute in udienza preliminare) e la richiesta formulata dalla Regione, considerando che “non esiste interesse specifico da parte dell’ente”.

L’avvocato Anna Grazia Maraschio, dal canto suo, ha sintetizzato i motivi che hanno indotto l’ente guidato da Nichi Vendola a voler essere in aula: “Il sistema emerso dalle indagini offende la coscienza e sensibilità collettive che l’ente rappresenta, rivendicando le ragioni riparatorie in sede penale. I gravi reati contestati ledono i valori essenziali della persona, la cui tutela rientra nei fini istituzionali della Regione”. Sulla richiesta di costituzione la Corte d’assise, presieduta dal giudice Roberto Tanisi, si è riservata di decidere, dopo aver ascoltato anche le eccezioni preliminari avanzate dai difensori in merito alla presunta genericità del capo d’imputazione e contestate punto per punto dal pm Mignone. L’appuntamento è per il 7 marzo nell’aula bunker del carcere di Lecce, per lo scioglimento delle riserve e l’avvio del dibattimento, durante il quale i lavoratori che hanno denunciato saranno chiamati a testimoniare. Per ripetere, davanti agli imputati, accuse gravissime nei loro confronti. “Sarà difficile  –  ha dichiarato Yvan Sagnet a nome di tutti i ragazzi  –  solo ora stiamo prendendo davvero coscienza di quanto coraggio ci vorrà, ma noi ci saremo e racconteremo tutto quello che è successo”.

 

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