Collatina, nell’ex caserma dove vivono le ragazze della tratta. “Le maman ci proteggono e se
sbagliamo pagano le famiglie”
“Le mie connazionali morte nel mare? Ora sono più fortunate di noi”. Christine e Mary sono sedute, con le
spalle alla strada, su un muretto in mezzo a calcinacci e sporcizia nel nulla di via dell’Acqua Vergine,
un’arteria disastrata che collega la Prenestina alla Collatina. Le loro parole fanno male. Meglio morte che
fare quella vita, ovvero le prostitute da 6 mesi. Ma dovendo scegliere, a differenza delle 26 donne inghiottite
dal Mediterraneo, “preferisco questo anziché rimanere in Nigeria”. Preferenze al ribasso quando non ci sono
altre chance.
Il grido d’allarme fa venire loro gli occhi lucidi e il nodo in gola. Ventisei e trent’anni, lavorano in strada da
centottanta giorni. Il primo mese qui a Roma, dopo essere arrivate da Lagos – la città presa a modello dal
leader pentastellato Grillo – sono rimaste rinchiuse in quello che è il quartiere generale della prostituzione. Leggi…
Le nigeriane di Roma: “Meglio morire in mare che schiave sulla strada”
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