Repubblica

VALERIA FERRANTE

C’ È CHI muore in una baraccopoli mentre sta accendendo un piccolo fuoco per scaldare il cibo da mangiare. È la storia di un giovane di 24 anni. Un lavoratore stagionale. Uno dei tanti, costretti a sottostare alle leggi del caporalato, nelle campagne di Sicilia. Raccoglieva le olive, si chiamava Oussmane. Veniva dal Senegal, e non ce l’ ha fatta. C’ è chi accetta la violenza del ricatto, come Sorina. Pur di non rinunciare a qualche euro, e alla figlia di 11 anni che ha portato con sé dalla Romania, va ad abortire di nascosto perché il proprietario delle serre dove lavora le impone rapporti sessuali in cambio di vitto e ospitalità. In cambio della tranquillità della figlia. Sono una, dieci, mille le storie come questa. Cambiano i nomi. Cambia a volte il colore della pelle, la lingua o il sesso. Ma le condizioni no. Lo sfruttamento, neppure. Eventi tragici di miseria e di chi su questa miseria ci specula avvengono oggi, in Sicilia. A Campobello di Mazara, a Ragusa, Vittoria, Marina di Acate, Scoglitti, Alcamo, Paternò, Scordia, Bronte, Cassibile. Accadono nelle cascine vicino ai campi. Nelle baraccopoli dove stanno stipate fino a 500 persone. UOMINI, donne e bambini in condizioni igienico-sanitarie inaccettabili. Ambienti promiscui e insani. Dove tutto è negato, soprattutto l’ infanzia. Eppure questi uomini e queste donne non vanno via. Sono scappati da posti peggiori rispetto a quelli dove adesso si trovano. «Almeno qui 20-25 euro li guadagni, a volte anche 30. Sono tutti soldi che io mando alla mia famiglia. Se conosci la Romania, pensi che qui è molto meglio», spiega Sorina. NERO SU NERO Secondo i dati Istat, nel settore agricolo siciliano è in nero circa un lavoratore su quattro, il 25 per cento, contro una media nazionale dell’ 11,9 per cento. «Ventimila lavoratori agricoli sfruttati creano un danno al sistema economico-finanziario dell’ Isola che supera i 740 milioni di euro annui, un quarto dell’ intero deficit di bilancio della Regione – denuncia Fabrizio Colonna, segretario Fai-Cisl Sicilia – 629 aziende agricole siciliane sono state ispezionate nell’ ambito del “Piano straordinario di vigilanza per l’ agricoltura e l’ edilizia nel Mezzogiorno». Di queste, ben 302 (il 48 per cento) sono risultate fuori norma. Su 3.118 lavoratori controllati, 348 sono risultati in nero e 3.106 irregolari. «Tutti fenomeni ampiamente conosciuti e ripetutamente denunciati da chi, come noi – continua Colonna – si confronta con la disperazione di persone che pur di portare un pezzo di pane a casa sono disposte a lavorare per 20 euro al giorno». «Agli organi ispettivi di Inps e Inail basterebbe guardare alle centinaia di aziende agro-alimentari che mantengono i livelli di produzione, o addirittura si ingrandiscono, nonostante la crisie poi però dichiarano sempre meno giornate lavorative o addetti nel settore», afferma Salvatore Tripi, segretario generale Flai-Cgil. EXPORT DA RECORD Il dramma dello sfruttamento si consuma così sotto gli occhi di tutti. E con il loro lavoro da 20 euro al giorno, gli stranieri permettono all’ Italia di esportare 206 mila tonnellate di pomodoro doppio concentrato (il 50 per cento della produzione totale dell’ Unione europea), pari a 240 milioni di euro. È per questo che in una lettera congiunta e indirizzata al presidente della Regione Rosario Crocetta, Cgil, Cisl e Uil chiamano questi uomini e queste donne «gli invisibili dell’ agricoltura». Utilizzati da aziende e ditte commerciali per le grandi campagne di raccolta dei prodotti agricoli, sono spesso ridotti in condizioni di schiavitù. A Cassibile li trovi piegati a raccogliere patate e carote. Ad Alcamo sono nascosti tra i filari a cogliere l’ uva. A Paternò e Scordia riempiono cassette su cassette con arance e mandarini. Mentre i ragazzini, piccoli e agili, vengono fatti entrare nelle serre-tunnel del Ragusano, alte 80 centimetri, per la raccolta del pomodorino. Un lavoro massacrante, a temperature spesso altissime, molto pericoloso per la salute a causa dei fitofarmaci, dei diserbanti che hanno conseguenze sull’ apparato respiratorio, sulla pelle, sugli occhi. IMMIGRATI MIGRANTI Secondo il rapporto “Agromafie e caporalato”, curato dell’ osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, i lavoratori nel settore agro-alimentare in Sicilia sono 103.150, di cui 55.790 nei campi. I braccianti di origine straniera sono circa 25.200: fra questi 11.000 rumeni, 8.150 tunisini, 1.800 albanesi. Manodopera costretta a spostamenti continui a seconda dei cicli di produzione: dalla Sicilia alla Calabria, alla Campania, sino alla Toscana e all’ Emilia Romagna. «Loro ci dicono: queste sono le regole, o fai così o te ne vai. Per una giornata di lavoro a me danno 10-15 euro – racconta Kira, anche lei rumena- Appena finito qui in Sicilia, si va a Napoli a raccogliere le nocciole. Poi i mandarini in Calabria, lì ci pagano di più, 25 euro, e lavoriamo tutti: io, mia sorella più grande e suo marito. Ci spostiamo insieme. Se fai la badante non puoi tenerti vicina la famiglia: per questo accettiamo di stare nei campi». CAPORALATO ROSA Uno dei problemi denunciati nel dossier Caritas-Migrantes è il costo del lavoro che con l’ introduzione di manodopera proveniente dall’ Europa dell’ Est si è drasticamente abbassato. Se la paga giornaliera di un maghrebino o tunisino era in media di 35-40 euro, adesso si è ridotta alla metà, sconvolgendo dinamiche ed equilibri. La modalità con cui i braccianti e le braccianti vengono reclutati è lo stesso che si ripete dal 1943, ma con una variante. In Sicilia il caporalato è diventato rosa. Sono le donne a adescare manodopera giornaliera. Una guerra fra sfruttate perché tutte – aguzzine e schiave – lavorano sette giorni su sette per lo stesso padrone. Dalla raccolta al confezionamento, le caporali donne vigilano sull’ intera filiera. Uno dei centri nevralgici dello sfruttamento è la Sicilia orientale. Tutte le zone comprese fra Ragusa, Cassibile, Vittoria, Santa Croce Camerina, Marina di Acate. Qui il paesaggio è andato mutando negli anni. I terreni si sono coperti di strutture tubolari: le serre. Per chilometri e chilometri si estendono sino a lambire le spiagge. Qui il lavoro agricolo stagionale è diventato coltura permanente, per questo la presenza dei lavoratori migranti ha raggiunto quota 20 mila. I lavoratori, uomini e donne stranieri, vengono “comprati a pacchetti” di dieci unità e ogni tre giorni vengono venduti da un’ azienda all’ altra per evitare denunce e controlli.I rumeni spesso sono obbligatia pagare 100 euro l’ intermediario, che li obbliga pure ad accettare un periodo di prova di una settimana nelle serre prima dell’ assunzione. Alla fine molti non vengono assunti. I “FESTINI AGRICOLI” Le donne caporali iniziano a lavorare alle quattro del mattino. Il sole non è ancora sorto e al buio tante giovani, principalmente rumene, cominciano a radunarsi. Dopo essere state selezionate, una ventina di ragazze, le più carine, vengono fatte salire su un pulmino. Andranno a raccogliere pomodorini di Pachino e zucchine per l’ intera giornata. Ma perché scegliere donne, tra i 20-24 anni, su base estetica e non per la forza fisica? Il motivo è semplice: le caporali sono le stesse che costringeranno le ragazze ad animare le serate dei padroncini e degli amici produttori. Per questi extra le caporali guadagnano circa cinqueo seimila euro in più l’ anno.E di notte, nel silenzio complice di intere comunità, nei casolari sperduti si consumanoi “festini agricoli” a sfondo sessuale. L’ unico a denunciare l’ esistenza di queste pratiche è stato un parroco, molto conosciuto a Vittoria per il suo impegno contro la mafia e per il suo centro di accoglienza ai migranti. Si chiama Beniamino Sacco ed è stato lui a mandare in galera uno di questi padroncini. Il caso è scoppiato a Scoglitti, dove un proprietario terriero non solo faceva lavorare per sedici ore al giorno la sua bracciante ma in più la costringeva ad avere rapporti sessuali in cambio dei soldi per l’ alloggio. Nelle serate dei “festini agricoli” le lavoratrici guadagnano 10 euro in più rispetto alla magra paga di 20 euro. I luoghi di lavoro sono a volte gli stessi in cui abitano: catapecchie improvvisate, magazzini. Luoghi sperduti, spesso blindati da cancelli, filo spinato, vigilati da enormi cani da guardia. Nessuno sa, nessuno vede. E nella promiscuità di questi casolari molte vengono violentate, molte rimangono incinte. Non è un caso che in Sicilia sia aumentato il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza da parte delle migranti. Secondo i dati 2012 del ministero della Sanità sono circa 762 le rumene che nell’ Isola hanno abortito. Alcune, come Sorina, arrivano in ambulatorio troppo tardi: «Io ho già una figlia di 11 anni, come faccio?». E lei non è l’ unica ad aver dato in affidamento il proprio bambino.

 

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