La Repubblica

 

di GIUSEPPE SCARPA

Peter, clochard al centro di Roma: “Le regole della strada sono omertà e cinismo. Non fare mai casino per attirare la polizia e difendi con la forza il tuo territorio dagli altri mendicanti». Ma i deboli come lo difendono? «Qualcuno lo fa per loro. E non certo per altruismo…..”

I tentacoli di una piovra si stringono intorno alle mani tese dei mendicanti. Un racket che soltanto le vittime riescono a percepire, un’organizzazione criminale che prospera sui loro moncherini più o meno veri, sulle gambe zoppe, sugli arti artificiali che qualche volta ne nascondono uno vero e che spesso sono simboli reali di una esistenza ai limiti della sopravvivenza. Le vittime sono i disabili, veri o falsi, anziani o bambini, che chiedono l’elemosina nelle vie del centro di Roma. Raccontano le loro storie con l’efficacia di attori consumati, altri con la disperazione di chi sa che quell’euro gettato sul palmo della mano, quel caffè con otto cucchiaini di zucchero (gratuito) può voler dire un giorno in più di vita.

Esibiscono le loro menomazioni come nel mondo “normale” si descrivono le proprie competenze in un colloquio di lavoro. E rappresentano una miniera d’oro. Possono incassare, in una mezza giornata, centinaia di euro. Ma è difficile intercettare la regia occulta che li manovra. C’è un legame psicologico contorto che li lega ai loro aguzzini: un po’ paura e un po’ una sorta di sindrome di Stoccolma, come fossero ostaggi di sequestratori che insieme li impauriscono e li affascinano. E una grande omertà. Tanti indizi per ora, ma non ancora una prova schiacciante.

Dicono alla polizia municipale: “Sospettiamo ci sia qualcosa dietro a quei poveretti, ma per ora siamo in alto mare”. Già, in assenza di denunce è difficile dare corpo ai sospetti. La reticenza, poi, è una caratteristica della strada. Al massimo, quando si è alle strette, si ottengono mezze verità. Andrei, un romeno che mendica in via Ottaviano, sostiene che lo sfruttamento non esiste. Ma poi, alla fine, ammette che una realtà torbida c’è. O meglio c’era: “Il racket esisteva. Dei connazionali ti portavano in Italia – racconta il ragazzo, 25 anni – e per questo motivo dovevi corrispondergli metà delle elemosine. Ma questo è avvenuto fino al 2004”. Che cosa è successo in quell’anno, che cosa è cambiato? Andrei tace. Ha viso e braccia sfigurati. Siede, acciambellato, sopra un cartone: “La baracca dove vivevo ha preso fuoco a causa di una candela. Le fiamme mi hanno avvolto e adesso sono così”.

Delle dichiarazioni spontanee, a dire il vero, ci sarebbero. Un rom aveva rivelato alla municipale di essere sfruttato, ricattato, picchiato dai suoi carnefici. Doveva dare loro tutto ciò che incassava. E a lui venivano restituiti solo pochi spiccioli. Il necessario per sopravvivere. Poco dopo ha ritrattato tutto. Una realtà dura da contrastare. All’omertà si aggiungono le poche risorse di cui dispone la sezione emarginati della municipale. Inoltre, elemosinare non è un reato. Perciò, quasi sempre, l’onere della prova, denunciare chi obbliga a chiedere spiccioli, ricade proprio sugli sfruttati. Ma questo non avviene. Le vittime sono persone prostrate psicologicamente e nel fisico. Stritolate da chi li controlla: “Il meccanismo – spiega la psicoterapeuta Maria Rita Parsi – è quello della cattura in schiavitù. La vittima, terrorizzata da ciò che il carnefice possa fargli, non parla e si chiude in se stessa. Oppure può provare sentimenti di affetto nei confronti dell’oppressore”.

Elevati sono anche i “guadagni” che realizzano. Più commuovono e più incassano. Il tutto, possibilmente, vicino a monumenti storici affollati dai turisti. C’è un anziano romeno, dicono dalla municipale, che riesce a raccattare 100 – 130 euro in una mezza giornata.
E una montagna di spiccioli, la racimolano, due giovani seduti sugli skateboard. Hanno gambe e mani deformi. Entrambi romeni. Tutti e due sui 30 anni. Uno al Pantheon, l’altro a pochi metri da piazza Santa Maria in Trastevere. Zone turistiche. Ad alta pedonabilità. Ostentano la loro invalidità e i passanti, impietositi, aprono generosamente il portafoglio. Quando si vogliono conoscere meglio le loro vite, e loro escono dal copione di tutti i giorni, ti rispondono di malo modo: «Non mi sfrutta nessuno, va via o ti denuncio».

Assieme ai disabili i più deboli sono i minori. Ernesto Caffo, presidente Sos di Telefono azzurro avverte che, “nel 2011, in Italia, sono arrivati quattromila minori non accompagnati. Bambini, spesso, vittime di racket, sfruttamento del lavoro minorile o prostituzione”.   Gheorghe, un romeno di 14 anni, potrebbe essere uno di questi. “Quando lavoro per gli egiziani mi pagano 3 euro a giornata. Scarico frutta e verdura”. Il ragazzo, giura, che dietro a lui non c’è nessuno: “Non so cosa sia il racket”. Nella mano, che porge ai viaggiatori della metro, ha un santino e qualche centesimo. Niente scuola né amici. Ma la cosa, dice, non lo disturba. Una casa sì, quella la vorrebbe. Visto che dove vive, in una tenda sotto ponte Mammolo, la notte fa freddo.

Un’indigenza totale e tanti interrogativi riguardano anche una donna polacca di 40 anni. La signora, ogni mattina, è al Campo de’ Fiori. Sta sopra una sedia a rotelle. Sulle gambe una coperta bianca, lurida. Nelle braccia due buste di plastica. La testa è china su un lato, i suoi occhi azzurri persi nel vuoto. Capire dove vada, da sola, una persona in queste condizioni, è un mistero. Così, come è impossibile, sapere dove abita o con chi vive. Lei tace o risponde vaga.
Peter, un clochard che sta in via del Corso, illustra le due semplici e spietate regole della strada: “Omertà e cinismo. Non fare mai casino per attirare la polizia e difendi con la forza il tuo territorio dagli altri mendicanti”. Già, ma disabili, anziani e minori come fanno a difenderlo? “Qualcuno lo fa per loro. E non certo per altruismo”.

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