Il brivido delle baby-escort così le carte mettono a nudo la rete dei manager a luci rosse

La Repubblica

ROMA

— I cento faldoni di atti giudiziari della storia di Serena ed Emanuela, bambine squillo di 15 e 14 anni, sono un abisso che racconta molto di più di una perversione. Nello squallore di lenzuola stropicciate e preservativi di un seminterrato di viale Parioli riattato a scannatoio, nelle migliaia di sms con la clientela e i papponi, non c’è il lolitismo di Nabokov e neppure il suo fantasma. Né c’è — come pure all’inizio di questa storia si era ipotizzato — l’indicibile della pedofilia. C’è piuttosto l’epigrafe miserabile del nostro tempo e dei suoi campioni. «Lavorare poco e guadagnare tanti soldi».

Già. «Lavorare poco e guadagnare molti soldi» prometteva il sito “

bakekaincontri. it”,

lo scaffale digitale in cui offrire e pescare, tra un trans, una milf e una maggiorata, carne fresca. E alle bambine, come alla madre di una di loro, non sembrava vero. «Volevamo mettere da parte un po’ di soldi, così ne avevamo di più e ci godevamo l’estate — raccontano a verbale il 5 febbraio scorso durante l’incidente probatorio — Stavamo cercando di fare un lavoretto che fosse adatto un po’ alla nostra età. Dog sitter… queste stupidaggini qui.

Volevamo andare in vacanza a Ponza». Ma soprattutto, non sembrava vero alla clientela “per bene” di quel quadrante di città “per bene” che nei ritagli di tempo di un lavoro “per bene”, di una cena con le mogli o di un saggio dei figli, avevano di che saziare il proprio appetito al costo di un pieno di benzina del suv. «Sono in una riunione — avvisava un Papi con un sms a Serena — Ci vediamo quando torni. Domani sera devo accompagnare mia figlia ad una festa e non posso muovermi. Di alla tua amica se ha voglia di incontrarmi». «Sono serio, pulito e discreto — miagolava un altro — E, dimenticavo, dolcezza, passione e tutto ciò che volete senza limiti».

CIRCOLO DI INSOSPETTABILI

Il tariffario di Serena ed Emanuela diceva «100 il mezzo (rapporto orale), 200 o 150 l’intero. 300 a tre». Salvo extra per le visite a domicilio. E, dunque, l’incrocio tra domanda e offerta non poteva che essere lì. Nella libido di chi, due o tre biglietti da cento, li alza in un’oretta di lavoro. Un manager consorte di parlamentare di centro-destra (Mauro Floriani, marito di Alessandra Musssolini), il figlio di un parlamentare di centro-destra, un dirigente di Bankitalia, un quadro di Ernst& Young, un avvocato, un paio di funzionari della Fao. Quei tipi umani che a Roma magari incontri in una di quelle simpatiche feste in costume con le maschere da maiali e che comunque riconosci alla luce del giorno per il nodo a ormeggio della cravatta, l’incarnato perennemente abbronzato, la passione per le barche, il finger food, i lounge bar, in una geografia dei luoghi che fa perno tra l’ansa del fiume Aniene e Roma nord (i quartieri Parioli, Fleming, Trieste). Dove l’apparenza quasi sempre mente sulla sostanza. E dove, le bambine, spesso si facevano trovare. Itoya, “il giapponese” di viale Regina Margherita, il “Seventy” di via Nemorense, la discoteca “Villa Ruggeri” sull’Olimpica e il “Nice” al Foro Italico.

NIENTE GIOVANI, MEGLIO I VECCHI

Serena ed Emanuela li cercavano “vecchi” e con il grano. Per convenienza e per pudore. «Chiedevamo sempre di non avere ragazzi troppo giovani. Cioé, tipo di 18, 20 anni, perché magari li potevamo conoscere », raccontano a verbale al procuratore aggiunto Maria Monteleone, al pm Cristiana Macchiusi e ripetono nell’incidente probatorio al gip Maddalena Cipriani. Anche perché quei “vecchi per bene” e con il grano non stavano certo a guardare la carta di identità. A loro bastava l’aria da bimbe, quell’intercalare di “ Scialla” e il trucco pesante sulla pelle da adolescenti. Che poi si fa sempre in tempo a dire — come hanno sin qui fatto a verbale tutti i clienti indagati — «non immaginavamo che fossero minorenni». Racconta Emanuela: «Quando stavo con loro, svuotavo la testa e mi dicevo: tanto è un’ora e poi è finito. Non ero felice, ma cercavo di mettermi nei panni di una persona che faceva un lavoro normale. A volte avevo paura. Che gente mi capita?, mi dicevo. E se mi violentano? Poi ho capito che erano tutti deficienti ».

IL FITTY-FIFTY COL PAPPONE

A qualche “deficiente” non doveva dispiacere neppure qualche schizzo di coca. Perché incipriarsi le narici insieme a una bambina fa parte del menu. Come del resto dimostrano le ricerche in rete di Emanuela e Serena per scoprire “come si eliminano dalle urine le tracce di cocaina”. Certamente i “deficienti” passavano per lo più per Mirko Ieni («Era un amico. Ci dicevamo tutto. Anche se avevamo un problema», raccontano le bimbe), un lenone del nostro tempo, trentanove anni e un passato da impiegato alla Luiss, la prestigiosa università di Confindustria nel cuore dei Parioli a un tiro di schioppo dallo scannatoio. Un tipo questo Mirko di quelli svelti a trovare l’algoritmo della felicità: “tanto grano” in “poco tempo”. «Ve ne fate tre al giorno», raccomandava il nostro che di strada ne aveva fatta. Dallo squallore di una stanza di motel (il “Boomerang” sulla via Aurelia, stanze accessibili dalla strada senza passare dalla hall) alla privacy dei quartieri alti. E poi fiftyfifty. E magari una bella risata. «Che avete combinato maialine? — scrive alle due ragazzine in uno degli sms intercettati — Andate a Ponza con i soldi delle scopate?». Pensava in grande Mirko. Anche una trasferta a Cannes a mille euro. O un’ammucchiata in barca («A bordo sono già in quindici…. «) . Perché i vecchi “per bene e con il grano”, non vanno certo a Ladispoli e non usano il pattino.

L’OSSESSIONE PER LA PUNTUALITÀ

Aveva una sola fissazione, Mirko. La puntualità. Perché quei clienti non avevano tempo da perdere. Gente importante, quella li. Anche se di importante non si capisce bene cosa potesse avere uno come il commercialista Riccardo Sbarra che nei pc scaraventati dalla finestra all’arrivo dei carabinieri conservava più scatti pedo-pornografici (duemila) che pratiche di studio. «Qualcuno si lamentava del fatto che arrivassimo in ritardo, che non ci presentassimo a un appuntamento o fossimo scortesi — raccontano a verbale Serena ed Emanuela — Ma noi, alla fine, siamo due ragazzine. E’ normale non essere sempre puntuali. E poi eravamo sotto pressione. Mirko ci trattava come delle macchine. Per lui dovevamo esserci sempre, tutti i giorni. Non voleva perdere soldi. Noi eravamo la sua fonte di guadagno ».

I “vecchi per bene” facevano la fila per Serena ed Emanuela. Gongolavano e farfugliavano giovanilismo con le loro “k” al posto delle “c” nei loro sms dal senile arrapamento. «Mi mandi una foto della tua amiketta?».

LA FILA PER AUTODENUNCIARSI

Dal 28 ottobre scorso (quando lo scannatoio dei Parioli è diventato la colonna infame della città), come monatti, fanno la fila in via Inselci, gli uffici del nucleo investigativo dei Carabinieri. I più coraggiosi — come raccontano due diverse fonti investigative — si presentano a raccontare una montagna di frescacce, ma almeno mettendoci la faccia e sperando in un patteggiamento che li salvi dalla vendetta delle mogli e dei salotti. “Il mio numero, non so perché, potrebbe essere tra i telefoni intercettati”. “Credo di ricordare di aver parlato con una di quelle ragazze di cui ho letto sui giornali”. I più arroganti, mandano avanti avvocati ben pagati. Perché — furbacchioni — per le bimbe usavano telefoni aziendali e dunque “vallo a dimostrare che ero io”.

Ne hanno sin qui indagati 22 per prostituzione minorile, ma la lista dei clienti identificati dai carabinieri ha già raggiunto i 40 nomi. E l’elenco della gente “per bene” non sembra debba finire qui.

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Carlo Bonini Maria Elena Vincenzi

 

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