(Pier Giorgio Pinna.
Le storie di tre ragazze sottoposte a violenze sconvolgenti Per loro un po’ di speranza dopo aborti selvaggi e torture
CAGLIARI. «La prima volta, a 14 anni, mi hanno presa 20 clienti in una notte». «Non volevo tornare a battere: allora mi hanno messo sotto la doccia con l’acqua gelata e m’hanno massacrato di botte: così non sentivo il dolore». «Sono riuscita scappare buttandomi da una finestra al secondo piano della casa dove m’avevano rinchiuso: poi m’hanno aiutato un passante e un prete, avevo il naso rotto per i pestaggi, tante ferite alla testa, perdevo sangue». «Al quinto mese di gravidanza mi obbligavano ad andare ancora sul marciapiede, m’hanno fatto abortire ficcandomi cinque pastiglie di un medicinale in bocca e cinque nella vagina, sono stata malissimo, non so come non sono morta». «Alla fine mi sono ribellata: e da quando sono fuggita cerco solo un lavoro pulito, che mi faccia vivere in Italia col mio bambino».
Storie sconvolgenti. Le raccontano prostitute straniere. Sono arrivate con una valigia piena di sogni: di lì a poco i papponi, spesso parenti o finti amici, li avrebbero trasformati in incubi. Con metodi da kapò tanto devastanti che qualsiasi aggettivo per descriverli appare riduttivo. Tutte queste donne, tra i 20 e i 30 anni, hanno cominciato da mesi un percorso per tentare di lasciarsi alle spalle il passato. Le affiancano i volontari e le suore Figlie della carità. Una congregazione che in diversi centri ha dato vita a case-famiglia e preso in affitto abitazioni private: comunità allargate dove le ex prostitute vengono accolte, fatte studiare, seguite in un cammino di reinserimento difficilissimo. Cammino di frequente supportato da assistenza sociale massiccia, consulenze psichiatriche, altre strategie adottate dai medici per suturare le lesioni dell’anima .
Maria. «Sono albanese. Quando ho compiuto 18 anni, ho lasciato il mio paese e sono venuta qui, con un parente. All’inizio, “per avere un po’ di soldi”, mi dicevano, m’hanno mandato a chiedere l’elemosina. Portavo 60 euro al giorno. Ma poi, visto che andavo sempre negli stessi posti, la gente ha cominciato a darmi meno danaro. Vedevo che in casa c’erano altre ragazze. La sera si truccavano e uscivano, tardi. Io non capivo. Che cosa fate?, ho chiesto. “Andiamo in strada”, hanno risposto. “Devi fare come loro”, mi ha spiegato allora il mio parente e mi ha detto che dovevo essere gentile con i clienti. “No, quello non lo faccio”, ho urlato. Lui mi ha preso per i capelli e mi ha massacrato di botte. Avevo la faccia insanguinata. Sono svenuta. Quando mi sono ripresa, ho aperto la finestra e mi sono buttata giù. Sono scappata d’inverno, scalza, solo con i jeans e una maglietta leggera. Dopo tre giorni in un parco, mi ha trovato un passante e m’ha portato in una chiesa. Un sacerdote ha chiamato i carabinieri. Mi hanno portato in ospedale. Adesso sono qui. Studio per il diploma di terza media. Poi lavorerò. Farò le pulizie come faccio in questo posto. Mi piace tantissimo cucinare, il resto lo imparerò».
Matilda. «A 14 anni sono andata via dalla Romania dopo che la mia famiglia, poverissima, mi ha fatto sposare con un matrimonio combinato uno che stava già in Italia. Lui, per abituarmi alla vita, mi faceva fare l’amore a qualsiasi ora, 4-5 volte al giorno. Poi mi ha portato sulla strada. Ho cercato di ribellarmi. Mi hanno picchiato. Lui e altri. Ci sono tornata per anni, sulla strada, dalle 9 di sera alle 6 del mattino. Portavo 600 euro al giorno. Ma a quelli non bastavano mai. Quando reagivo mi spaccavano la testa a colpi. Alla fine sono scappata. Ho avuto un figlio con un altro uomo e ho ripreso io a battere per mantenerlo. Allora quelli mi hanno riagganciato e mi hanno pestato di nuovo. Poi mi hanno investito con la macchina: sono rimasta due giorni in coma, non ho più camminato per sei mesi. Mi sono rifugiata dai vicini. Loro mi hanno aiutato. Sono andata dalla polizia. E adesso spero di ricominciare col mio bambino».
Stella. «Per portarmi qua dall’Africa mi hanno fatto fare un giro dal mio paese, prima per il Ciad e poi in Libia, con tanti emigrati. Quello che mi accompagnava m’ha portato sino a Trapani. “Te lo trovo io un lavoro come cantante gospel”, mi ripeteva. Poi m’ha spiegato che per pagare il debito di 35mila euro per il viaggio dovevo andare sulla strada. L’ho fatto per due anni, gliene ho dato 25mila e sono scappata: perché sono cristiana, non credo come le altre nelle maledizioni dei riti voodoo. Che farò adesso? Troverò un posto, forse come badante. E poi? Chissa… cantare mi piace sempre».