LE TRE RAGAZZE FUGGITE NUDE DA UN BALCONE
«Volevano il riscatto dalle famiglie». Potenti bande criminali organizzano il viaggio dalla Cina fino all’Europa
La tapparella a tre quarti d’altezza, obliqua, forse incastrata come se fosse stata manovrata con irruenza, di colpo; la rete, sul balcone, di un materasso; e, tre metri sotto, il nastro biancazzurro della polizia ancorato a degli alberi e a una ringhiera. Qui, all’esterno della scala G del complesso di case popolari in via Brivio 6, martedì pomeriggio le tre donne cinesi (non parenti, ma forse appartenenti alla stessa grande famiglia, allo stesso clan rurale) erano atterrate, sull’erba. Da lì sopra, dal balcone, si erano lanciate per scappare in strada uscendo dal cancello laterale che sbuca su via Console Marcello. E a quella rete di materasso erano state legate, picchiate per venti ore, e denudate, e punte a ripetizione con una siringa piena di candeggina Ace, e di nuovo picchiate – c’erano lividi ovunque, interno coscia, collo, seno – e minacciate di iniezioni mortali se i familiari non avessero pagato il riscatto, oppure il debito. Due giorni dopo, la prigionia e la fuga delle tre donne di 27, 32 e 36 anni svelano consuetudini, drammi e brutalità della comunità cinese.
I CENTRI E IL CASEGGIATO – Le donne sono tutte prostitute nei centri massaggi, che rappresentano quasi la totalità dei 259 esercizi del settore risultanti al Comune (da gennaio hanno già subito 108 multe di vario genere dai vigili). Il sequestro nella tana di via Brivio, località scelta dagli aguzzini per la sua generale tranquillità (nei caseggiati non spadroneggiano boss, numeri esigui hanno i pregiudicati, inesistente è lo spaccio di droga) non avrebbe a che fare con la prostituzione. Non esistono, fra i cinesi, gli sfruttatori classici, i papponi delle ragazze africane e dell’Est: private dei documenti, segregate, stuprate a ripetizione da branchi e buttate in strada. Le ragazze cinesi, spiega un investigatore dei carabinieri, spesso già sanno dalla partenza che a Milano saranno prostitute. Certo c’è la promessa falsa di importanti guadagni con immediata presa su famiglie povere disposte a immolare i figli.
ROTTE, SOLDI DEBITI – Per viaggiare (costo di 15 mila, 20 mila euro) ci si affida a un’organizzazione criminale, che a Milano ha affiliati i quali si appoggiano a intermediari tra Asia ed Europa. La parte finale del viaggio è via terra (su camion e su Trieste) e via mare (per Malta). La somma è anticipata in Cina e saldata in Italia da un garante (un altro familiare). Se il denaro è incompleto, scatta il sequestro di chi viaggia. Ma capita che la famiglia, affondata da precedenti prestiti a tassi usurai, non riesca a coprire i soldi: per ritorsione, il parente in Italia viene segregato.
IL SILENZIO DELLA PAURA – Le tre donne poco hanno raccontato alla polizia, che conduce il caso. Hanno paura per se stesse e per chi hanno lasciato in Cina, temono ritorsioni, come l’omicidio della mamma, di una sorellina. Sono ora in una comunità protetta. Martedì, le visite al Policlinico, prima del dirottamento al Gaetano Pini per le ingessature (fratture di un malleolo e di un calcagno per due di loro) non avevano riscontrato violenze sessuali, peraltro negate dalle donne. Un’estinzione del debito, aggiungono i carabinieri che sulla comunità cinese molto hanno investigato stroncando le gang giovanili, ha un’ulteriore forma: «L’immigrato viene costretto a vendersi all’organizzazione e a diventare un criminale». E allora, quale fine avrebbero fatto, le tre donne, se non fossero riuscite a evadere? E quale ruolo delinquenziale avrebbero ricevuto dall’organizzazione?
LA PROVINCIA REMOTA – Si chiama Liaoning, ha oltre quaranta milioni di abitanti, è una provincia nel Nord-est della Cina. Campagne, industrie in crisi, migliaia di partenze. Le tre donne sono del Liaoning. La prima immigrazione cinese in Italia, con destinazione Milano, cominciò intorno al 1930. In comune, secondo i cinesi, le due nazioni hanno l’alta percentuale di corruzione. Diffusissimo, a Milano, il pagamento del pizzo da parte dei ristoratori. Vorticoso il volume di documenti falsi, eppure le presenze rimangono invariate negli anni (circa 23 mila residenti), il che alimenta leggende che forse tali non sono: il fatto che i cinesi non muoiano mai. Muoiono, i cadaveri scompaiono, i documenti d’identità tornano in patria (a volte dentro libri con le pagine tagliate) e sono consegnati a nuovi emigranti in partenza.