«Perché continuo a contestare questo reato? Perché mi sono trovata davanti un ragazzo con segni di torture
subite nei campi, davanti a chi aveva un panino e non riusciva a mangiarlo per la stanchezza, davanti a chi
non aveva da mangiare. Questa è l’Italia, questo è il territorio di Nardò», le parole del procuratore aggiunto
Elsa Valeria Mignone per spiegare la sussistenza del reato di riduzione in schiavitù, nella requisitoria di
settembre dell’anno scorso.
«Vi dovrete immedesimare in loro, nelle vittime, e non ignorare certe situazioni come fecero la polizia
municipale di Nardò ed il sindaco che non volle costituirsi parte civile in questo processo (il riferimento è
all’ex primo cittadino, l’avvocato Marcello Risi, ndr). Anche se in questo processo abbiamo dibattuto
soprattutto della violenza psicologica, quella più difficile da dimostrare. Nel mio capo di imputazione
troverete tutto questo, troverete ritmi sfiancanti, orari assurdi, impossibilità per i lavoratori di poter disporre
della libertà di andare via. È vero tutto questo? Il processo ci ha consegnato tutto questo? Il Tribunale del
Riesame sostenne che vi era il consenso dei lavoratori, che avessero la capacità di autodeterminazione». Leggi…
«Turni massacranti fino a 12 ore: e nessuno era libero di andare via»
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