La Nuova Sardegna
di Tiziana Simula
Sentito ieri in collegamento dalla Romania l’ex servo pastore che lavorava per gli allevatori di Ottana
NUORO. Oltre tre ore di domande e il racconto dell’ unico teste che è anche una delle parti offese del processo che si svolge in videoconferenza con la Romania, che inciampa in tanti “non ricordo” e in numerose contraddizioni. Al primo piano del palazzo di giustizia si è tenuta ieri una nuova udienza del processo che vede due allevatori di Ottana, Antonio e Pietrino Dettori, rispettivamente padre e figlio, a giudizio davanti alla corte d’assise per “riduzione in schiavitù” nei confronti di due servi pastori romeni. L’anziano padre, ultraottantenne, deve rispondere anche di molestie sessuali. Secondo l’accusa rappresentata dal pm Guido Pani, della Dda di Cagliari, padre e figlio avrebbero sottoposto i due cittadini romeni, Marian Cullan e Liviu Ganga, a orari di lavoro durissimo, minacce continue e persino momenti di segregazione all’interno dell’azienda agricola, nelle campagne di Muntone, a tre chilometri da Ottana. La vicenda si sarebbe complicata con l’arrivo di una connazionale, Maria Dela Punca arrivata nell’azienda agricola insieme a Cullan, anche lei, secondo l’accusa, sfruttata e vessata dai due ottanesi. Ieri è toccato a Ganga, il primo ad essere arrivato lì, nel marzo 2009, a raccontare alla corte d’assise presieduta da Antonio Luigi Demuro la vicenda in collegamento dall’aula di Targu Mures, rispondendo alle numerosissime domande del pm e della difesa, con gli avvocati Mario e Francesco Lai. Un lungo esame ricco di contraddizioni rispetto a quanto lo stesso teste aveva detto a suo tempo ai carabinieri di Ottana, come fa notare in più occasioni la difesa. «Pietrino ha solo alzato la voce contro Florian, non l’ha preso a calci e pugni», risponde Liviu Ganga, riferendosi a un altro suo connazionale andato via appena lui era arrivato in azienda. Versione che contrasta con quanto detto ai carabinieri. «Non posso ricordare tutto e ho provato anche a dimenticare», dice. E poi ricostruisce quella notte tra il 17 e il 18 maggio 2010 quando denunciarono il fatto. «Abbiamo telefonato ai carabinieri e fatto tre chilometri a piedi per raggiungere il rifornitore dove li abbiamo aspettati. Poi, loro ci hanno accompagnato a vedere la stanza dove stavamo. Avevamo le chiavi per il cancello». Si lamenta per la paga non ricevuta «mi hanno dato 1.200 euro solo una volta», per il mangiare «ci davano sempre pasta», e per gli orari di lavoro «dalle 4 del mattino alle 22.30». «Mi diceva di sbrigarmi ma non ho mai ricevuto minacce», risponde al difensore. Spiega di aver saputo della violenza proprio dalla donna. «È venuta da me piangendo quand’ero sul trattore ma non ero presente in quel momento, non so se sia vero. A Marian gli ho detto che non poteva essere, perché era anziano». La prossima udienza, il 31 ottobre.