La Stampa
Costretta a fare tutto come una serva. Peggio: come una schiava, perché il ruolo
di serva, poco o pochissimo, veniva remunerato.
Per una giovane marocchina ventenne, invece, il matrimonio con Abdennabi Sabiqui, trentaquattrenne
immigrato dal suo Paese prima a Genova e poi trasferito ad Alessandria, si rivelò quello che, nel capo
d’imputazione a carico del marito (ora ex) e dei suoceri Mustapha Sadiqui, 61 anni, e Fatna Jad, 54, viene
definita «riduzione in schiavitù». Un reato di particolare gravità per il quale è previsto il giudizio in Corte
d’Assise, qui presieduta da Alessandra Casacci, affiancata dal giudice togato Claudia Seddaiu più i sei
giudici popolari.
La giovane sposa sopportò tutto per circa due anni, sotto il peso psicologico di una cultura arcaica (neppure
del tutto sradicata anche nei più evoluti Paesi occidentali) e quello fisico delle minacce, verbali, ma non
soltanto. Leggi…