Fuochista di fornace nel Khyber Pakhtunkhwa, remota provincia del Pakistan nord-occidentale. Il fumo nero
che sale dei pneumatici e delle ciabatte di risulta o dei cumuli di immondizia, è una maledizione quotidiana
da ingoiare, 12 ore al giorno, arrampicandosi su e giù fino allo sfiatatoio della caldaia, attenti a non cadervi
dentro con gesto maldestro. Nella casupola a fianco dello stabilimento, nemmeno una presa di corrente o una
bombola di gas per riscaldare cibo e dare luce. Per questo Nazar, con i suoi cinque figli, anche loro al lavoro
da mattina a sera nella fornace, ha rischiato di ammalarsi per quel fumo nero che entra fin nella stanzetta di
mattoni grezzi, oltre che nei polmoni.
Tenere sempre acceso il forno, alla giusta temperatura, perché se i mattoni invece di essiccare si bruciano, è
un’altra condanna da scontare: 12 ore al giorno, sei giorni alla settimana, mentre il sorvegliante annota sulla
scheda con spietata precisione quanti mattoni sono usciti rovinati. Mille pezzi al giorno valgono 300/350
rupie, pari a due o tre euro di compenso per tutta la famiglia, ma quelli che si devono scartare per vizio di
fabbrica, non vengono conteggiati nella diaria di Nazar e famiglia. Leggi…
Pakistan. Quegli schiavi senza nome «incatenati» nelle fornaci
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