Il Tempo
Paola De Angelis
Cresce la prostituzione indoor Un microcosmo sommerso
PESCARA Sono la faccia nascosta dell’amore mercenario. Donne invisibili. Eclissate in appartamenti anonimi. Non si vendono sul marciapiede ma al chiuso, magari dietro il paravento di night club e centri massaggi molto speciali. Si celano nelle inserzioni pubblicitarie sui giornali, negli annunci hard su internet, dentro un numero di cellulare che promette piacere senza complicazioni, molto spesso a buon mercato. La chiamano prostituzione «indoor», e anche in Abruzzo è un fenomeno in ascesa. Per la sua stessa natura sfugge a censimenti e mappe. Gli operatori della onlus «On the road» di Martinsicuro, che da più di vent’anni si occupano di sfruttamento sessuale, hanno provato a sondare questo microcosmo sommerso. «Chiamiamo i numeri telefonici scovati negli annunci e cerchiamo di stabilire un primo contatto – racconta Alexandra Mejsnarova, vicepresidente dell’associazione e coordinatrice dell’unità mobile -. Rispetto alla strada, è tutto molto più complicato. Fuori ci guardano in faccia, le ragazze spesso riconoscono il nostro furgone. Sanno chi siamo. Al telefono invece sono diffidenti, hanno paura. Sospettano una trappola. Noi le invitiamo a un appuntamento, mai in casa, sempre all’aperto». I numeri della prostituzione invisibile in Abruzzo superano di gran lunga quelli del marciapiede. Sulla Bonifica del Tronto «On the road» ha contato in una notte quaranta lucciole. Spulciando gli annunci invece ha toccato quota 500, 200 solo lungo la costa teramana. In dieci anni i volontari dell’associazione sono riusciti ad affrancare dallo sfruttamento 800 ragazze. Con la sola arma del dialogo. Girano con un furgone carico di materiale informativo e di profilattici. Offrono consulenza sanitaria, sostegno psicologico e sociale. Alle donne che vogliono cambiare vita danno ospitalità in strutture protette e propongono un percorso per l’inserimento lavorativo. «Noi offriamo una chance a chi decide di uscire dalla prostituzione – spiega la Mejsnarova -. Per ragazze spesso ridotte in schiavitù, in molti casi minorenni, non è facile sottrarsi alla violenza fisica e anche psicologica esercitata dai loro sfruttatori. Le nigeriane sono prigioniere del giuramento prestato davanti ai capi attraverso riti voodoo. Sono ricattate, temono che i loro familiari subiscano ritorsioni. Le romene invece sono quasi sempre legate sentimentalmente a chi gestisce il racket». E per questo si trasformano in «caporali»: «Fungono da raccordo con il livello alto dell’organizzazione criminale, controllano il giro e riscuotono il denaro – spiega il capo della Squadra Mobile di Pescara, Pierfrancesco Muriana -. Le italiane, quasi del tutto sparite dal marciapiede, ricompaiono invece nella prostituzione al chiuso. Spesso si tratta di insospettabili. Tra le squillo della porta accanto ci sono molte sudamericane, cinesi e anche trans». Sulla strada le più sfruttate sono le africane. «Tutti i soldi che ricevono dalle prestazioni sessuali – racconta Muriana – finiscono nelle mani dei “protettori”, con i quali si sono indebitate per venire in Italia: per un viaggio intrapreso spesso con il miraggio di un lavoro onesto, devono restituire somme che arrivano anche a 50mila euro. Del denaro ricevuto dai clienti, a loro resta solo il necessario per vivere». Le forze dell’ordine periodicamente controllano le strade del sesso e infliggono sanzioni. Quelle alle lucciole servono a poco: non le pagano mai. Le multe ai clienti invece fungono da deterrente. I blitz molto spesso danno il la ad attività investigative che si concludono con arresti. Ma il carcere comunque non scoraggia gli sfruttatori. «Una prostituta rende in media 1.500 euro a notte – spiega il capo della Mobile -. Se il protettore è “comprensivo” e la fa lavorare solo venti giorni al mese, il guadagno per lui è di 30mila euro, puliti, esentasse. Che moltiplicati per il numero di prostitute di ogni clan, fanno un business colossale. Davanti a questa montagna di soldi facili, la prospettiva di qualche mese di galera non spaventa certo i criminali».