Il Messaggero

Michele Milletti

Spente le luci delle sfilate, oltre lustrini e paillettes emerge, cupo, il lato nero dell’alta moda. Succede dappertutto, succede anche in Umbria.
La rete è fitta. Passa per commesse sub appaltate, garage e capannoni affittati chiudendo più di un occhio e finisce in orrendi tuguri dove l’area lavoro e quella dove dormire e mangiare sono divise da improvvisate pareti di cartongesso. In condizioni igieniche e di vita penose, con bimbi piccoli sulle ginocchia di giovani madri costrette a stare chine per ore davanti a una macchina da cucire.
Non sono le agghiaccianti “maquiladoras” al confine fra Messico e Stati Uniti, ma quanto scoperto e fotografato dagli agenti del commissariato di Città di Castello, diretto da Marco Tangorra. Un’operazione partita poco più di un mese fa e che sta portando alla luce una realtà rimasta nascosta almeno cinque anni, visto che i primi insediamenti di laboratori cinesi a questo livello risalgono al 2008. E se il fatto che ditte tessili umbre e dell’Alta valle del Tevere prendano commesse dalle grandi firme della moda per poi subappaltare ad altre attività potrebbe far parte del giro degli affari, le condizioni apparentemente disumane e di possibile sfruttamento in cui vivono e lavorano gli operai di questi laboratori non possono nè devono far parte del business.
I poliziotti di Città di Castello, assieme ai tecnici di ispettorato del lavoro e Asl, hanno mappato 34 laboratori cinesi. Allo stato attuale, sarebbero state eseguite già sette sospensioni di attività lavorative, mentre per altre dieci è scattato l’ordine di sgombero immediato e ripristino dello stato dei luoghi. In altri termini, la metà di questi laboratori risulta irregolare. Ma, sostengono gli investigatori, gli iter di controllo sono ancora in corso e la percentuale potrebbe anche alzarsi.
Già così, le cifre devono far riflettere. Secondo gli inquirenti in questo momento in una zona che da Perugia arriva fino al confine con la Toscana l’ottanta per cento della produzione di maglieria e camiceria è in mano ai cinesi, con i controlli che hanno evidenziato la presenza di almeno il 20% di lavoratori in nero fra i 123 cinesi (43 donne) trovati nei laboratori.
Trentamila euro, il monte-multe. Spiccioli, rispetto alle centinaia di migliaia che si movimentano nel circolo di appalti, sub appalti e affitti di garage e capannoni.

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