Il Sole 24 Ore
Iniziare alle tre di notte, lavorare dalle 8 alle 12 ore al giorno, ricevere “stipendi” anche inferiori ai due euro l’ora. Sono condizioni ordinarie nel mondo del caporalato, il sistema illegale di reclutamento di manodopera per il lavoro agricolo. Lo stesso fenomeno che ha innescato i due incidenti nel Foggiano di sabato e lunedì, provocando 16 vittime con la stessa dinamica: uno scontro del furgone dove erano ammassati i lavoratori, di ritorno da una giornata di raccolta sui campi di pomodori pugliesi.
Il «business degli irregolari», come lo chiamano i sindacati, arriva a sfiorare un valore di 5 miliardi di euro l’anno e incide per quasi un quinto del valore aggiunto generato nella filiera agricola. In teoria sarebbe contrastato da una legge ad hoc, approvata nel 2016 con l’intenzione di inasprire la legislazione e le sanzioni in materia. Nei fatti, stando ai numeri raccolti della autorità, il fenomeno gode di ottima salute e assorbe una quota imponente di lavoratori, sia italiani che stranieri.4
Cosa vuol dire e come funziona il “caporalato”
Il termine caporalato allude ai cosidetti caporali, le figure che si occupano di procurare manodopera a basso costo per lavori di fatica. Il loro ruolo è quello di reclutare persone e trasportarle sul luogo di lavoro, come cantieri e campi agricoli, incassando un ricompenso concordato in precedenza. Il meccanismo di selezione è abbastanza elementare: i caporali si appostano i determinate zone e caricano le persone interessate su mezzi propri, con partenza nelle primissime ore del mattino. I due settori di maggiore diffusione del fenomeno sono l’edilizia e sopratutto l’agricoltura. Un report della Federazione lavoratori agro industria Cgil (Flai Cgil) ha stimato che il «business del lavoro irregolare del caporalato» è pari a 4,8 miliardi di euro, con 1,8 miliardi di evasione contributiva.
Meno di 4 euro per 375 chili
In totale, i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio illecito oscillano dalle 400mila alle 430mila unità, per un tasso di irregolarità di rapporti di lavoro (i rapporti illeciti sul totale) pari al 39%. Nei casi di sfruttamento estremo, i lavoratori operano in assenza di qualsiasi tutela, sono pagati dai 20 ai 30 euro per giornate lavorative di 8-12 ore (ma si può arrivare anche sotto a 1 euro l’ora) o prestano servizio a cottimo con una tariffa di 3-4 euro per cassoni da 375 chilogrammi. Per fare una proporzione, l’ultimo contratto nazionale collettivo di categoria di operai agricoli e florovivaisti fissa un minimo salariale mensile di874,6 euro per gli operai agricoli di area 3 (i lavoratori non specializzati). Non stupisce che Flai Cgil stimi un salario del 50% inferiore a quello previsto dalla contrattazione nazionale, con tanto di discriminazione per le donne: le lavoratrici sono pagate del 20% in meno rispetto ai colleghi.
Rapporto Ispettorato Lavoro 2017: nei campi 50% irregolari
Il peso degli stranieri nell’agricoltura
I migranti, come ricorda lo stesso report Flai Cgil, incidono per il 28% su circa un milione di lavoratori agricoli (286.940, a loro volta divisi fra 151.706 comunitari e 135.234 extracomunitari). I numeri lievitano quando si entra nel mondo del nero, terreno d’elezione per le attività di caporalato. Se si sommano regolari e irregolari, i lavoratori stranieri diventano 405mila, di cui 67mila coinvolti in «un rapporto di lavoro informale» e 157mila pagati con «una retribuzione non sindacale»: l’equivalente di oltre 220mila lavoratori invisibili, assoldati e remunerati secondo accordi che escono dalla contrattazione nazionale o da una qualsiasi copertura sindacale.
Aboubakar Soumahoro, sindacalista Usb (Unione sindacale di base), mette in guardia dal trasformare lo sfruttamento nei campi in una questione etnica. «Quelli che ci sono appena stati a Foggia sono morti sul lavoro, e basta – dice Soumahoro al Sole 24 Ore – Continuare a chiamarli “extracomunitari” è solo deumanizzante e serve a distrarre dai veri problemi di fondo». I problemi in questione, secondo Soumahoro, sono la scarsissima sindacalizzazione del settore e lo «sfruttamento arcaico» messo in atto dai caporali e le oltre 30mila aziende che se ne avvalgono.