Corriere

La vicenda della ragazza, oggi 16enne, scoperta a causa di una faida tra la famiglia d’origine e quella del marito

ROMA – Nella Giornata internazionale dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne, la storia di Monia (nome di fantasia) è una di quelle storie che vorremmo non sentire, ma che occorre ricordare e far conoscere: perché non accada più. Monia oggi ha 16 anni, è di origine macedone, domiciliata nel campo nomadi di Ciampino, tre anni fa era andata in sposa ad un ragazzo del campo di Castel Romano, di origini serbe, di due anni più grande di lei. Il classico matrimonio combinato dai genitori. Ma Monia voleva rompere quel patto e rientrare nella sua famiglia di origine. Una scelta non gradita allo sposo, che l’ha ridotta in schiavitù.

STATO DI SOGGEZIONE -Ma la famiglia d’origine è venuta a sapere delle condizioni in cui la ragazze viveva è ne è nata una lite, meglio: una faida. Senza questo scontro, nessuno sarebbe venuto a sapere del destino di Monia. Sono intervenuti i carabinieri per placare gli animi: ricostruita la vicenda, i militari hanno accertato che la famiglia acquisita costringeva la minorenne – con continue violenze psicologiche – a rubare nella Capitale a bordo dei mezzi pubblici o nelle vie del centro di Roma, con guadagni molto alti che però doveva consegnare alla famiglia del marito. La ragazzina, era «in uno stato di soggezione continuativa, costretta a rubare». Per questo motivo i carabinieri hanno sottoposto a fermo due uomini per «riduzione in schiavitù» e hanno accompagnato Monia in una comunità di accoglienza su disposizione del Tribunale per i minorenni.

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