Caporalato. Narinder, l’indiano morto (già dimenticato da tutti)

Avvenire

L’ultima vittima scaricata senza vita da un’auto in corsa. Aperta un’inchiesta in Campania

La Procura di Santa Maria Capua Vetere ha aperto un’inchiesta sulla morte del bracciante indiano Narinder Singh. Su ordine della magistratura i carabinieri dei Nas hanno sequestrato le cartella clinica del trentottenne sikh, deceduto il 26 luglio nell’ospedale di Maddaloni dove era stato ricoverato il 5 luglio. Morto ufficialmente per arresto cardiaco ma si sospetta concretamente che sia la conseguenza di terribili condizioni di lavoro e di vita.

Narinder è stato trovato a terra davanti alla stazione di Caserta, letteralmente scaricato da un’auto da qualcuno che lo aveva prelevato da dove lavorava, un’azienda bufalina di Castel Volturno. I primi a soccorrerlo sono stati alcuni senza fissa dimora che frequentano lo scalo ferroviario. Ma il bracciante non reagiva, non si muoveva. Così gli stessi clochard hanno chiamato i volontari dell’associazione ‘L’Angelo degli ultimi’, che opera spesso nella zona, che hanno subito capito le sue gravissime condizioni, col corpo disidratato, provato da mesi di malnutrizione e stenti. È stato subito portato nell’ospedale di Maddaloni, dove, malgrado le cure contro disidratazione e denutrizione, è morto dopo un’agonia di venti giorni. Ad interessare la magistratura è stato il sindacato Flai Cgil che ha presentato un esposto, nel quale si chiede di fare chiarezza sulla morte del bracciante sikh.

E la procura, guidata da Maria Antonietta Troncone, si è subito mossa prima con l’acquisizione dei documenti sul ricovero e sulla morte di Narinder, e successivamente con la decisione di far effettuare un’autopsia, proprio per capire i reali motivi del decesso e le sue condizioni. Come ricostruito dal sindacato, il bracciante era giunto nel Casertano dal 2007, ma precedentemente era già stato a Brescia e poi a Nettuno, in provincia di Roma, zona dove è molto presente la comunità sikh. «Il sospetto – spiega Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai Cgil – è che dietro la morte di Narinder vi possa essere una delle tante storie di sfruttamento lavorativo e di riduzione in schiavitù. L’uomo – rivela – aveva estese scottature sul corpo e non aveva con sé il cellulare, che probabilmente gli è stato sottratto dei suoi sfruttatori. Prima di morire ha raccontato che lavorava presso un’azienda agricola e di allevamento di Castel Volturno, dove curava gli animali».

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