Parla Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente, la bracciante morta di fatica.
«Voglio solo giustizia. Lei partiva alle 3.30 del mattino, prendeva 27 euro al
giorno che ci servivano per vivere»
«Il dolore che ho dentro è profondo. La mia speranza è sapere e capire quali sono state le cause della morte
di mia moglie Paola mentre lavorava nei campi sotto il sole cocente. È una questione di giustizia, per evitare
che in futuro si possano verificare tragedie simili». C’è molta determinazione ed emozione nelle parole di
Stefano Arcuri il marito di Paola Clemente, la 49enne bracciante di San Giorgio Jonico che morì di fatica la
mattina del 13 luglio del 2015 nelle campagne di Andria mentre era dedita all’acinellatura dell’uva. Fervente
cattolico, come i suoi figli e come lo era Paola, frequentano la parrocchia di Maria Santissima Immacolata.
«Prego molto – rivela – la fede mi da forza. Spero che il suo sacrificio faccia riflettere. E mi auguro che mai
più ci siano donne e uomini costretti a sgobbare nelle condizioni in cui si è trovata lei. Come recita il capitolo
24 del Deuteronomio, ‘non defrauderai il bracciante povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno
degli stranieri che stanno nel tuo paese, entro le tue porte e gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che
tramonti il sole, perché egli è povero e a questo va il suo desiderio’. Papa Francesco è intervenuto spesso per
difendere chi viene sfruttato, subisce ricatti e umiliazioni mentre lavora nei campi. Vorrei poterlo incontrare
per raccontargli questa mia esperienza e pregare insieme a lui per ricordare la mia Paola». Leggi…
Caporalato. Il vedovo della bracciante: «Vorrei pregare col Papa per i nuovi schiavi»
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