Attualità

Corriere della Sera

Cinque telefonini a testa per gli appuntamenti. Il 10% è minore Cambiano spesso città o Stato: «La
novità attrae più clienti»
Sara Gandolfi
Ciao, sono Stephanie, nuova a Roma, dolce e irezistibile, vi aspetto». È l’ultima arrivata sul sito che
raccoglie gli annunci delle escort. La foto della morettina, viso dolce e slip in pizzo con decor di roselline ai
lati, piercing all’ombelico, i seni coperti pudicamente dalle mani, è una delle più caste della schermata. Ed è
100% verified, «genuina, approvata e confermata dallo staff». Scorrendo il suo annuncio si scopre che è
ungherese, ha 23 anni, e ci sono pure peso, altezza, misure di busto-fianchi-vita, peli pubici e molto altro.
Riceve in zona Vaticano, disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Nella pagina di Firenze, Claudia si presenta senza chiaroscuri: «Sono semplicemente una bella donna
italiana, non sono una ragazzina, né una bambola di plastica. Tutto naturale». E si conquista una recensione a
cinque stelle: «Con lei ho avuto la sensazione di fare l’amore e non sesso, e non è una differenza da poco… è
dolce, morbida, calda e non si tira indietro a niente…». 45 minuti, 120 euro. Tariffa medio-bassa per l’indoor,
la prostituzione in casa. Qui i prezzi viaggiano tra 100 e 500 euro, più alti che per la strada, con punte fino a
2.000 euro per le offerte «premium» o «gold».
In Italia la prostituzione non è reato, quando coinvolge persone maggiorenni. La legge Merlin del 20
febbraio 1958, che abolì «case, quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso dove si esercita la prostituzione»,
punisce reclutatori, sfruttatori, proprietari o gestori di locali dove si esercita il meretricio. Non chi lo pratica
né chi ne usufruisce, sempre che la prostituta non sia minorenne, come nel recente caso delle adolescenti ai
Parioli. Una sentenza della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione (n.20384, 13 maggio 2013) ha
stabilito che non è vietata neppure l’«attività diretta a pubblicizzare inserzioni di persone dedite alla
prostituzione».
Via libera dunque ai siti di escort, annunci a luci rosse, forum di utenti che si scambiano impressioni,
suggerimenti, indirizzi hot. Dalla strada alla casa: le donne che si prostituiscono indoor, pubblicizzandosi
sulla Rete, sono sempre di più, decine di migliaia. Le stime non tengono il passo: chi è dentro non si vede,
difficile contarle. La rivoluzione di Internet ha travolto anche il mondo delle «marchette», sempre più
liquido, globalizzato, a portata di tutti. Bastano pochi clic per entrare senza filtri nella schermata giusta,
scegliere dal catalogo virtuale il prodotto desiderato, quindi telefonare, incontrare, acquistare. Se hai una
trasferta, prenoti online e trovi la sorpresa pronta in albergo, senza dover scendere dal concierge o al night. Il
mercato non ha mai marciato così bene, uno dei pochi in Italia a non soffrire la crisi. E l’indoor garantisce
pure l’anonimato: le prostitute, specie le italiane e le clandestine, si sentono meno esposte; la privacy del
cliente è tutelata.

Un mondo sommerso abitato da sudamericane, est-europee, asiatiche ma anche tante italiane, che
scivolano nella prostituzione come ultima ratio anti-crisi. «Erano stimate in un 10% del totale, oggi sono
in aumento» spiega Mirta Da Pra Pocchiesa del Gruppo Abele di Torino. Donne come Lucia, 32 anni, tanto
lavoro precario e poi il «mestiere», ma saltuariamente, «non a tempo pieno, quando serve» solamente. «Di
andare a pulire i cessi della gente, io non ho voglia. Guadagno bene, non esagero, pago i conti e mi avanza
anche per comprarmi qualche vestito firmato. Meglio che rubare, in fondo». Il motore non è la fame, spesso,
ma il desiderio di migliorare il proprio status sociale o l’obbligo di mandare a casa i soldi, per le straniere.
«Avevo già deciso di smettere. Ho frequentato un corso di cameriera ai piani. Ma dalla Romania chiedevano
altro denaro, ho una figlia laggiù» e così Tatiana, 21 anni, ha rimesso l’annuncio online, convinta dalle
promesse di un «fidanzato» italiano. «Dopo due giorni ho capito che m’imbrogliava».
Invisibili, ma vulnerabili. I clienti si innamorano, diventano ossessivi, violenti. Quello che succede dentro
quelle quattro mura non è mai prevedibile: «Chiamano e arrivano un sacco di matti». E neppure fuori: «I
clienti ti pedinano, ti inseguono», raccontano a mezza voce. Anche le cosiddette «indipendenti» devono
avere qualcuno che le protegga. Li chiamano «persone che ci aiutano». In codice sono «i leonini». Altre sono
blindate da vere e proprie organizzazioni criminali.
Per gli operatori della Fondazione Somaschi di Milano e delle Associazioni Lule, La Melarancia,
Oltreconfine che hanno partecipato al progetto Fuoriluogo (finanziato dalla Fondazione Cariplo) l’approccio
non è stato facile. Per tre anni hanno scandagliato gli annunci di 25 testate cartacee di Milano e altre
province lombarde e oltre 100 siti internet, intercettato le prostitute al telefono (3078) offerto servizi sanitari,
ascolto e informazioni sui programmi di protezione sociale: hanno ricevuto un sacco di no, alla fine hanno
incontrato 499 donne. Solo quattro sono uscite definitivamente dal mercato del sesso a pagamento. Valerio
Pedroni dei Padri Somaschi è comunque soddisfatto: «La prostituzione e lo sfruttamento sono un danno alla
persona. Noi cerchiamo di ridurlo, offrendo opportunità di relazioni diverse. Dobbiamo sfatare il pregiudizio
“salvifico” secondo cui queste donne dovrebbero finire tutte in comunità. A volte basta portare stimoli,
sollecitazioni per fare scelte alternative: tornare in patria, scappare con un cliente».
Dalle sue parole e da quelle di Emanuele Omodeo Zorini dell’associazione Lule di Abbiategrasso esce
l’identikit di una prostituzione nuova negli strumenti ma antica nella sostanza. Nelle «piccole case
chiuse» ritornano le tenutarie, che spesso hanno scalato la gerarchia passando da controllate a controllanti.
Le ragazze stanno in 2 o 3 nello stesso appartamento, ciascuna con 5 telefoni per gestire gli appuntamenti.
Spesso si spostano da un appartamento all’altro ma anche da una città all’altra e perfino da uno Stato all’altro
sui voli low cost, «in tournée», «perché chi rappresenta una novità è più attraente per i clienti». Il turn over è
continuo. Le più difficili da intercettare sono le minorenni, che i Somaschi stimano in un 10% del totale,
perlopiù rumene e albanesi, tra i 16 e i 17 anni. Come era Maria, oggi 19 anni, albanese: «Sono nata
poverissima, a 17 anni sono partita per l’Italia, con un’amica, per cercar lavoro. Un uomo mi ha anticipato le
spese di viaggio, solo quando sono arrivata mi ha spiegato cos’era il lavoro. Mi hanno fotografato, nuda, e
hanno messo le immagini in Internet. Io stavo chiusa nell’appartamento, loro portavano i clienti. Ora voglio
tornare in Albania, dimenticare».
Alcune donne esercitano «in autonomia», all’interno di appartamenti presi in affitto (a prezzo
maggiorato), in genere in zone semi-centrali, comode per il parcheggio dei clienti, al primo piano per evitare
al minimo gli incontri con altri inquilini. Rivolgendosi a terzi solo per la promozione e protezione. Altre

lavorano in appartamenti affittati da un «amico» e pagano una diaria, in proporzione ai guadagni o prefissata.
Molte vivono e lavorano in appartamenti gestiti da organizzazioni criminali, spesso in situazioni di grave
isolamento e segregazione .
La presenza più massiccia è quella delle brasiliane, che prediligono l’indoor anche per non rischiare la retata,
se clandestine. Seguite da rumene e albanesi che si spacciano per russe «perché fa più sofisticato». Tra le
asiatiche il 60% è cinese, «impiegate» in centri massaggi più che in case. Nessuna di loro, probabilmente, ha
mai letto gli scritti di Elisabeth Badinter, filosofa ed ereditiera francese, che rivendica il diritto alla
«prostituzione libera, praticata da persone che decidono consapevolmente e senza costrizione di disporre del
proprio corpo». Sono poche in effetti le donne totalmente ingannate e costrette a vendersi. Ma anche
Emanuela Costa del Comitato per i diritti civili delle prostitute ammette: «Ho conosciuto davvero poche
persone che hanno scelto liberamente di prostituirsi». Insomma, con buona pace della Badinter, il «mestiere
più antico del mondo» è molto lontano dall’essere un passo avanti sulla strada dell’emancipazione
femminile.
Mollare è difficile. Spesso la prostituzione è il punto conclusivo di una storia di marginalità, di botte o di
abbandono. Dietro si nascondono sempre fragilità e disagio familiare. Come racconta una prostituta di 26
anni: «Sai cos’è il biliardo, no? Io ero come la palla nera, l’ultima a entrare in buca. Cioè non avevo un posto
dove vivere. Una volta con mio padre, una volta con mia nonna, un’altra ancora con mia zia… Era così, tutto
il tempo a rotolare sul tavolo da gioco» .
«Tu ti senti come sporca», dice una «collega», rumena, che non riesce a pensarsi come qualcosa di distinto
da quello che fa, «la puttana». Ritrovare un’identità: è uno degli obbiettivi principali dei progetti per
l’accoglienza e la riduzione del danno, che ancora aspettano una decisione sui finanziamenti del
Dipartimento Pari opportunità. L’anno scorso erano 8 milioni di euro, quest’anno chissà.

 

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