La Repubblica
di CHIARA SPAGNOLO
Ammessa la richiesta dell’amministrazione di schierarsi contro i 16 imputati e chiedere loro cospicui risarcimenti, così come ha fatto la Regione Toscana nel processo contro i nazisti accusati dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema
La Regione Puglia entra come parte civile nel processo contro 7 imprenditori salentini e 9 complici africani accusati di avere sfruttato i braccianti stranieri nei campi di angurie di Nardò. Il “turbamento morale della collettività”, scaturito dai reati contestati, è il danno “non patrimoniale” che consente all’ente di via Capruzzi di schierarsi contro i 16 imputati e chiedere loro cospicui risarcimenti, così come ha fatto la Regione Toscana nel processo contro i nazisti accusati dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Il paragone tra la strage dei 560 civili da parte dei tedeschi e lo sfruttamento di decine di lavoratori nelle campagne salentine è solo uno dei riferimenti giurisprudenziali che ha consentito alla Corte d’assise di Lecce di rigettare le opposizioni dei difensori e accogliere le richieste di costituzione di parte civile della Regione, della Cgil, dell’associazione Finis Terrae e di altro quattro lavoratori (quattro si erano già costituiti in udienza preliminare).
Nessuno di loro era presente nell’aula bunker del carcere di Lecce per la seconda udienza del processo a carico dei presunti sfruttatori. Il viaggio dalle città in cui vivono alla Puglia è troppo costoso e i tempi della giustizia italiana troppo dilatati per poter partecipare ad ogni fase del processo.
Assenti anche gli imputati italiani, mentre Sabr “il capo dei negri”, considerato il caporale per eccellenza dalla pubblica accusa, ha assistito all’udienza seduto in ultima fila.
A poca distanza Yvan Sagnet, leader della rivolta del 2011, che – dopo la lettura dell’ordinanza da parte del presidente Roberto Tanisi – ha manifestato soddisfazione per l’accoglimento delle richieste e delusione “per la mancata costituzione del Comune di Nardò, che aveva il diritto ma soprattutto il dovere di essere presente, perché fatti molto gravi si sono consumati nel suo territorio”.
Parole chiarissime, che fanno il paio con le contestazioni degli avvocati difensori, che il 31 gennaio evidenziarono come l’amministrazione di Nardò avrebbe avuto maggiore interesse della Regione a diventare parte civile, e con il riferimento inserito nell’ordinanza della Corte d’assise, secondo cui “essendo il Comune chiamato a tutelare gli interessi che incidono sul territorio sarebbe stato legittimato a costituirsi parte civile”. Importante anche la legittimazione fornita dai giudici alla presenza in aula della Cgil, indipendentemente dal fatto che le persone sfruttate fossero iscritte al sindacato, “essendo stata in gioco la violazione della normativa che tutela l’ambiente di lavoro” ed essendo stati lesi “i diritti primari dei lavoratori”.
Inoltre, secondo la Corte, “i trattamenti degradanti dei lavoratori stranieri, la violazione dei diritti umani riconosciuti dalla Costituzione e il riconoscimento di salari infimi, hanno alterato il corretto funzionamento del mercato del lavoro”, ovvero hanno violato anche i diritti individuali e collettivi dei braccianti agricoli italiani. Infine, in merito alla richiesta di costituzione della onlus Finis Terra, la legittimazione nasce dal fatto che l’associazione gestì la masseria Boncuri, in cui diverse decine di migranti trovarono rifugio, rappresentando un presidio di legalità contro la violazione dei diritti dei migranti.
Proprio a Boncuri, nell’estate 2011, fu organizzato il primo sciopero dei raccoglitori capeggiato da Yvan e lì furono raccolte alcune denunce poi confluite nei fascicoli del pm Elsa Valeria Mignone. Con la citazione dei suoi testimoni, a partire dai carabinieri del Ros che effettuarono le indagini, il 30 maggio prossimo il processo entrerà nel vivo. I sedici imputati devono rispondere di associazione a delinquere, riduzione in schiavitù, estorsione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della permanenza in stato di irregolarità sul territorio nazionale, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. E poi di caporalato, l’articolo 603 bis del Codice penale introdotto nel 2011 e che a Lecce arriva, per la prima volta, alla prova del dibattimento.